Aci Sant’Antonio, tutto sulla chiusura dello Sprar  Niente vestiti e pocket money, critiche al Comune

«Alla luce delle criticità emerse e dell’assenza di personale preposto, considerate le ultime dimissioni della coordinatrice e degli operatori all’accoglienza avvenute il 16 ottobre 2017, si chiede la chiusura del progetto di accoglienza entro il 31 ottobre 2017». È la frase, tratta da una comunicazione inviata al ministero dell’Interno, con cui il sindaco Santo Caruso certifica il fallimento dello Sprar di Aci Sant’Antonio. La missiva del primo cittadino segue di pochi giorni la relazione che sintetizza l’esito del sopralluogo effettuato il 2 e il 3 ottobre dal servizio centrale del Viminale. A cui risponde, con due note, anche la cooperativa Chiron, che gestisce il centro. In una di esse, il presidente della coop Angelo Murabito se la prende anche con non meglio precisati «articoli web», che avrebbero riportato «non verità che circolano per diffondere discredito». Fino a ipotizzare un «ingiustificato e violento attacco». Ma non si capisce chi sarebbe l’autore. MeridioNews, che segue la vicenda fin dalle prime difficoltà (e che per primo ha informato della volontà di Caruso di chiudere il progetto), è in possesso dell’intero carteggio. 

Il personale. Una delle ragioni che avrebbero convinto Caruso a gettare la spugna è la delicata situazione in cui si trovano gli ormai ex dipendenti della cooperativa Chiron. La coordinatrice e i due operatori che si sono dimessi a metà ottobre attendono le ultime 19 mensilità. Altri di loro, che hanno abbandonato il progetto solo qualche mese prima, sono in una condizione simile. A giudicare da quello che scrive il sindaco, a causare la chiusura del centro sarebbero non solo le «criticità emerse», ma la stessa «assenza di personale preposto». Una versione smentita da Chiron: «Da più parti – si legge in una nota trasmessa dal presidente Angelo Murabito alle controparti il 30 ottobre – si è diffusa l’idea di “dimissioni in massa”» che avrebbero «lasciato il progetto senza personale». Il testo, al contrario, è corredato da un elenco di dipendenti. Cinque, compreso lo stesso Murabito. Mentre il contratto di una nuova coordinatrice sarebbe «in via di definizione». Tutti «con esperienza in progetti Sprar». 

Strano che il Comune parli di «assenza di personale», non di carenza. Ma c’è di più. Il 12 ottobre il ministero dell’Interno mette per iscritto: «Il consistente ritardo nel pagamento degli stipendi ha portato alle dimissioni diversi operatori. Rimangono a lavorare giornalmente, a stretto contatto con i beneficiari, la coordinatrice e due operatori di accoglienza, oltreché la psicologa con presenza bisettimanale». Ancora più significativo un passaggio situato poco dopo: «Se non si provvede a integrare l’equipe in termini di nuove risorse umane e si perpetueranno i ritardi nei pagamenti – si legge – è possibile che si giunga alle dimissioni anche di questi operatori, con una conseguente interruzione nell’erogazione i tutti i servizi». La coordinatrice Chiara Rondine e gli altri due lavoratori si sono dimessi quattro giorni dopo. Eppure, a sentire Chiron, l’assenza di personale sarebbe una «non verità» di qualche «articolo web», e «la presenza degli operatori è stata ed è quotidianamente garantita». Al contempo, però, «non è fondamentale che presso le strutture ci sia un presidio giornaliero continuativo», perché gli ospiti sono adulti. 

Le condizioni di rifugiati e richiedenti asilo. Il trattamento degli ospiti del centro – che sono 12 uomini adulti provenienti da Mali, Senegal, Benin, Gambia, Pakistan, Bangladesh e Nigeria – è uno dei temi centrali nella relazione redatta dai funzionari romani del servizio centrale Sprar. Dopo lo sfratto dalla Casa dei giovani di piazza Baden Powell, intentato dalla diocesi di Acireale ai danni della cooperativa, lo scorso 15 giugno i migranti sono stati trasferiti in due appartamenti di via Garibaldi. In merito al primo, ai numeri civici 2 e 4, il ministero scrive di averla «autorizzata per otto posti», ma rileva allo stesso tempo che «non è presente la cucina», e segnala inoltre «l’assenza dell’impianto di riscaldamento». «Gli ospiti – specifica il report – lamentano un malfunzionamento nell’erogazione dell’acqua calda, che non è sempre disponibile». Il sindaco conferma: «Le strutture sono prive di cucina, di mobili e di elettrodomestici, e anche il sistema di riscaldamento e acqua calda è carente». 

Come sopra, Chiron non ci sta. In una missiva del 20 ottobre, precisa che «le due strutture non sono attualmente attrezzate per la preparazione dei pasti perché servite per il vitto da servizio di catering». Ma il ministero segnala che, quando gli ospiti vivono non in un centro collettivo ma in appartamenti privati, «è obbligatorio prevedere la completa autonomia nella preparazione dei pasti». Quanto all’acqua calda, la coop sostiene che i due stabili «dispongono della fornitura attraverso l’utilizzo di scaldabagno a gas gpl». 

Obblighi progettuali a carico di Chiron sono anche la fornitura di vestiti e il pocket money, circa due euro al giorno da consegnare ai migranti per le piccole spese quotidiane. Denaro che invece non arriva nelle tasche degli ospiti da quattro mesi. «Il vestiario non viene erogato», per altro. Due criticità stigmatizzate anche dal Comune, su cui tuttavia la cooperativa non spende nemmeno una riga, limitandosi a ricordare di aver «preso in carico questo progetto che, a motivo delle precarie condizioni economiche della Luoghi comuni onlus, non godeva di buona salute e che – recita la replica scritta del 20 ottobre – nonostante una richiesta di acconto non concessa, ha dovuto portare avanti le attività di progetto con fondi propri, cercando con sacrificio di recuperare su carenze preesistenti all’attuale gestione, intervenendo su tutto quanto è stato possibile intervenire». La gestione di Chiron è sorta dall’affitto di un ramo d’azienda di Luoghi comuni onlus, cooperativa che si era aggiudicata il progetto nel 2014. Infine, il ministero dell’Interno dà una valutazione dei servizi  mirati all’inserimento e all’informazione resi ai migranti, giudicandoli positivi nel complesso. Sebbene tra i dipendenti non ci sia la figura prevista dal progetto) del mediatore culturale. «Al bisogno vengono chiamati mediatori esterni», scrive il ministero. 

Le critiche al Comune. Il report del Viminale ricorda che il sindaco si è battuto per l’apertura di un centro Cipia per l’istruzione dei migranti, ma le critiche rivolte all’amministrazione non sono poche. Dinnanzi alle gravi difficoltà finanziarie di Luoghi comuniChiron, «l’ente locale non ha messo messo in atto nessuna misura di tutela del progetto né ha avviato alcuna interlocuzione con il servizio centrale». La responsabile del progetto sarebbe sovraccarica di mansioni e, al momento della visita, «è risultato evidente che non fosse a conoscenza di molteplici aspetti». Il Comune, in generale, «ha delegato interamente la gestione all’ente attuatore (la coop, ndr), senza avere un ruolo di indirizzo né tanto meno di monitoraggio delle attività svolte». 

La stessa cooperativa, nella nota del 20 ottobre, esprime perplessità in merito alla decisione di chiudere il centro. «Appare incomprensibile rinunciare al progetto – scrive il presidente Murabito – adducendo motivazioni, “criticità”» che gli stessi uffici romani avevano definito risolvibili in 30 giorni. Dieci giorni dopo Chiron aggiunge che l’amministrazione comunale deve procedere «con la massima urgenza alla liquidazione delle somme richieste per disinnescare questa pericolosa condizione – si legge – prima che l’esasperazione superi il limite che sino a questo momento tutti hanno con pazienza sopportato, a che non sfoci in atti sconsiderati». 


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