Inadempienze delle amministrazioni, mancanza di forze e l'annosa questione dei guardia-parco che non ci sono. «Ho sentito voci che riguardano Randazzo, ma solo segnalazioni informali», dice Marisa Mazzaglia, al vertice dell'ente. Ma l'affaire pastorizia sul vulcano riguarda anche gli incendi e il Corpo forestale
Parco dell’Etna, quasi 4000 ettari destinati a pascoli La presidente: «Abusivismo? Sosterremo le denunce»
«Mafia di Etna nord… È un termine forte, fa saltare sulla sedia». Marisa Mazzaglia, presidente dell’ente Parco dell’Etna, guarda «con preoccupazione» al territorio di Randazzo. Quello in cui lavorano Sebastiano Blanco e Salvo Rubulotta, i due imprenditori agricoli che a MeridioNews hanno raccontato degli incendi che hanno devastato le strutture che loro avevano ristrutturato. Entrambi, in termini diversi, avevano parlato di resistenze da parte del territorio. «Io non ho contezza di episodi specifici – dice Mazzaglia – Conosco solo quelli che ho appreso dai giornali e ho sentito delle voci che riguardano i pascoli. Purtroppo sono state segnalazioni informali, “si dice che il pascolo venga esercitato in forma abusiva su terreni che non sono autorizzati o che non sono formalmente concessi”. Nulla che sia sufficiente a formalizzare esposti, che comunque avrei fatto tramite le autorità competenti e non tramite i giornali. I cittadini devono sapere che saremo al loro fianco e sosterremo le loro denunce. Per quanto ci riguarda, posso dire che su Case Caldarera, uno dei punti base più interessanti che possiamo dare in affidamento e che ricade sul territorio di Randazzo, per molto tempo non abbiamo ricevuto richieste di gestione. A settembre dovremmo procedere all’affidamento a una ditta, ma il processo è stato particolarmente lungo e questo mi ha dato da riflettere».
«Se il territorio di Randazzo è una enclave del parco dei Nebrodi? Questa è una cosa che mi lascia molto perplessa – commenta la presidente – Molto probabilmente c’è uno spostamento dei pastori dell’area nebrodea su quel versante del vulcano. Una situazione simile non si vive in altre zone: un po’ è possibile che sia per la poca urbanizzazione, un po’ è forse per una questione di influenza diretta. Il territorio di Randazzo, del resto, è collegato con quello dei Nebrodi». Nel parco dell’Etna sono 2748 gli ettari di terreno utilizzabili per il pascolo messi a bando dall’Azienda foreste demaniali. A cui vanno aggiunti i 350 ettari autorizzati al Comune di Linguaglossa, i 556 ettari del Comune di Bronte e i 210 ettari per i quali è stata richiesta l’autorizzazione dal Comune di Castiglione di Sicilia. Una superficie totale di quasi quattromila ettari alle pendici del vulcano a disposizione degli allevatori che lavorano con ovini, bovini e – con qualche limitazione – caprini. Non tutti questi terreni, però, sono effettivamente stati affidati. «Il parco dell’Etna non dispone di terreni che vengono dati al pascolo», chiarisce subito Marisa Mazzaglia.
Un dato, quest’ultimo verificato dopo l’estensione a livello regionale del protocollo di legalità promosso dal presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Cioè il documento che stabilisce la richiesta della certificazione antimafia anche ai privati che vogliano ricevere in concessione i cosiddetti «lotti pascolivi». «Abbiamo applicato il protocollo anche nel caso di lavori da eseguire», aggiunge la presidente. Nei fatti, però, «non si è mai verificato che dovessimo revocare affidamenti. C’è da dire che è necessario che la prefettura risponda con rapidità: abbiamo rischiato di perdere finanziamenti». Sebbene il parco non dia in concessione terreni suoi, deve comunque vigilare su quelli che ricadono sul suo territorio. «La nostra è una autorizzazione di carattere ambientale, altre verifiche non sono in capo a noi». Tra gli adempimenti che spetterebbero ad altri enti, c’è il controllo sui terreni sui quali non sarà possibile per diverso tempo praticare il pascolo per via del fuoco. C’è una legge che stabilisce che le aree percorse da incendi non possono essere affidate a scopo pascolivo per i dieci anni successivi al rogo che le ha distrutte. «Queste aree devono essere censite e devono essere inserite in un apposito catasto. Credo che a occuparsene sia la forestale», prosegue la presidente dell’ente Parco.
In realtà, il censimento è compito delle amministrazioni comunali. Che poi dovrebbero occuparsi di comunicare l’impossibilità di usare per i pascoli le aree incendiate, indicando le particelle catastali e le estensioni di territorio interdette perché bruciate. «Il comando del Corpo forestale della Regione si è sostituito ai Comuni in questo adempimento – precisa Luca Ferlito, comandante del nucleo operativo regionale – al fine di renderlo operativo in tempi strettissimi. Infatti eseguiamo le perimetrazioni e redigiamo le cartografie dei terreni percorsi dal fuoco. Documenti che trasmettiamo ai Comuni e che inseriamo nel sistema informatico». Il meccanismo, però, da qualche parte si inceppa. «Stiamo convocando gli allevatori, nelle varie caserme della provincia, per spiegare le limitazioni – prosegue Ferlito – Il problema, però, è che alcuni Comuni non recepiscono i censimenti e non li calano nei loro piani urbanistici, vanificando tutto il nostro lavoro a monte. Dovrebbe essere un passaggio obbligato, invece purtroppo non avviene. I Comuni inadempienti sono già stati segnalati al prefetto di Catania».
Ammettendo che il censimento però avvenga, come si fa a verificare che quei terreni non vengano usati abusivamente? «Anche in questo caso, del controllo non può occuparsi l’ente Parco, ma deve farlo il Corpo forestale», sostiene la presidente. Diverso sarebbe se il parco dell’Etna avesse a disposizione i guardia-parco, il cui bando però sarebbe bloccato dagli anni Novanta. «Siamo vincolati al blocco delle assunzioni – aggiunge Mazzaglia – Certamente i guardia-parco potrebbero essere utili, come anche un sistema di forze dell’ordine adeguatamente dimensionato al territorio. Abbiamo 40 dipendenti, ma non possiamo essere realmente operativi perché ci mancano le braccia». E anche gli occhi. Il sistema di videosorveglianza da più parti invocato da anni potrebbe presto diventare realtà: «Ho fatto inserire nel bilancio 2017 uno stanziamento da 50mila euro per l’acquisto delle telecamere, che poi dovrebbero essere affidate al Corpo forestale e alle polizie municipali dei vari Comuni. Non credo che siano utili per il problema dei rifiuti, ma per ridimensionare un altro genere di fenomeni probabilmente sì – conclude la presidente dell’ente Parco – Quest’anno ho notato che molti incendi hanno riguardato aziende agricole: vigneti e spazi dove si svolgono attività lattiero-casearie. Questo non può che essere un segnale di allarme. È come se lo Stato avesse fatto un passo indietro nelle aree rurali».
«Quest’anno gli incendi si sono moltiplicati – replica Ferlito – È chiaro che in un contesto simile vengano toccati anche più terreni privati che in precedenza». E sul ruolo del Corpo forestale nell’intervento contro gli incendi e le aree date alle fiamme aggiunge: «Non credo che tentare di scaricare le responsabilità giovi a risolvere il problema, forse può addirittura aggravarlo». Quello che le aree boschive etnee hanno affrontato quest’estate sarebbe «una cosa organizzata: tutti gli incendi, nessuno escluso, sono di natura dolosa. Basta guardare un dato: quando scoppiano? A mezzogiorno, quando c’è vento e molto caldo, contemporaneamente in tre o quattro punti diversi. Che dietro ci siano più strategie criminali, non soltanto una, è chiaro. Se siano di ispirazione mafiosa, però, non sono in grado di dirlo, basandomi sulle certezze investigative attuali. Ma sul fatto che siano messe in atto con propositi criminali non ci sono dubbi. Un grande aiuto per contrastarli possono essere le segnalazioni della gente comune».