Nel 2016 Sud cresce più del Centro-Nord, tranne la Sicilia Svimez: «In 50 anni l’Isola perderà un milione di abitanti»

Il Mezzogiorno cresce da due anni e nel 2016 a un ritmo più alto rispetto al resto d’Italia. Ma dentro la macroregione che è il Sud ci sono grandi differenze e la Sicilia resta indietro, con un modesto +0,3 per cento di Prodotto interno lordo che è sotto la media nazionale, sotto quella del Meridione e molto lontana dalla Regione che invece nell’ultimo anno è cresciuta con maggiore rapidità, la Campania (+2,4 per cento). A certificarlo è lo Svimez, l’Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno, che nel suo ultimo rapporto fotografa segni di incoraggiamento per la ripresa del Sud. Note positive nel biennio 2015-2016 che però vanno contestualizzate nell’orizzonte più ampio rappresentato dagli anni della crisi. In tal senso la previsione degli economisti lascia poche speranze: con questi ritmi di crescita, il Mezzogiorno recupererà i livelli pre-crisi (cioè la ricchezza precedente al 2008) soltanto nel 2028. Cioè dieci anni dopo rispetto al Centro-Nord che invece dovrebbe tagliare questo traguardo già nel 2019. Ancora più cupe le aspettative sulla popolazione nel lungo termine: nel 2065 la Sicilia avrà un milione di abitanti in meno, il Meridione in generale registrerà un calo di cinque milioni. 

I DATI SULLA CRESCITA NEL 2016
Nel 2016 il Mezzogiorno è cresciuto dell’1 per cento (nel 2015 era stato l’1,1 per cento), il resto d’Italia si è fermato a +0,8 per cento. La Sicilia resta inchiodata allo 0,3 per cento, conseguenza, spiega lo Svimez, «degli effetti negativi dell’agricoltura, mentre l’industria e le costruzioni stentano a consolidarsi e il settore dei servizi ha un andamento poco più che stazionario». Il dato resta quindi ben al di sotto rispetto agli annunci del governatore Rosario Crocetta che, nel novembre del 2016, aveva affermato con uno slancio di ottimismo: «A giugno del 2016 abbiamo già registrato un incremento dello +0,6%, che ovviamente sarà più alto alla fine dell’anno». Così non è stato, ma va sottolineato che dal 2015 si è invertita la tendenza che vedeva l’Isola con pil negativo negli ultimi sette anni. 

Se in Sicilia la ripresa sembra solo accennata, è la Campania a trainare la crescita del Sud, grazie soprattutto ai servizi e al settore industriale, quasi del tutto assente invece nell’Isola. «Del resto – analizzano gli economisti – pensare di affidare la ripresa di un processo di sviluppo del Sud, come avvenuto nel 2015, all’agricoltura e al turismo – che pure presentano nell’area, specialmente in una “logica industriale”, ancora ampie potenzialità inespresse – è alquanto illusorio». Dati incoraggianti per il Meridione vengono dalla crescita delle esportazioni anche in un periodo di rallentamento del commercio internazionale, e dall’aumento di viaggiatori stranieri nel settore turistico (+19,3% nel 2016, rispetto al 6,6% medio in Italia, anche se poi non si è concretizzato in un aumento della spesa turistica). 

Guardando al periodo più ampio, 2008-2016, tuttavia, emerge il solco che la crisi ha scavato nella già sostanziale differenza tra Nord e Sud. In questi otto anni il prodotto interno lordo del Centro-Nord è diminuito del -5,8 per cento, mentre il Mezzogiorno è calato di circa il doppio (-11,3%). Il risultato è che nel 2016 in media un residente al Sud ha una ricchezza pari a poco più della metà (il 56 per cento) di un abitante del Centro-Nord. Una disparità diminuita negli ultimi due anni, ma comunque più alta rispetto agli inizi anni 2000. 

I DATI SULL’OCCUPAZIONE
Nel 2016 gli occupati crescono al Sud (in percentuali più ampie rispetto al Centro-Nord), ma la Sicilia fa di nuovo eccezione, essendo l’unica regione del Meridione, insieme alla Sardegna, a registrare un saldo negativo rispetto al 2015, ed esattamente un calo dello 0,1 per cento (1.200 lavoratori in meno). Considerando i singoli settori, nell’isola l’occupazione regge solo nei servizi: -2.6 per cento nell’agricoltura, -3.2 nell’industria, -7 nelle costruzioni; +1.3 in commercio alberghi e ristoranti, +1.1 in altri servizi.

«Nel Mezzogiorno l’occupazione è ripartita (+101mila unità, l’1,7 per cento rispetto al 2015), con ritmi anche superiori al resto del Paese (+192mila, pari all’1,2 per cento), ma mentre il Centro-Nord ha già superato i livelli pre crisi, il Mezzogiorno che pure torna sopra la soglia simbolica dei sei milioni di occupati, resta di circa 380mila sotto il livello del 2008, con un tasso di occupazione che è il peggiore d’Europa (di quasi 35 punti percentuali inferiore alla media Ue a 28)».

Anche in questo caso, gli economisti invitano a guardare nel complesso e ricordano che gli ultimi due anni positivi «non hanno sostanzialmente inciso» sul quadro estremamente negativo che ci hanno lasciato in dote gli anni tra il 2008 e il 2014. In quel periodo il Sud ha perso 811mila occupati, con una contrazione decisamente superiore tra gli under 35. 

IL SUD SI STA SVUOTANDO
Ed eccoci al problema demografico, legato alla flessione delle nascite e all’emigrazione. Negli ultimi quindici anni sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone, ma solo un milione è tornata: gli altri 716mila sono risorse che il Mezzogiorno ha perso definitivamente. Il 72 per cento sono giovani tra i 15 e i 34 anni, un terzo del totale è laureato. A questo si aggiunge che nell’ultimo anno il Meridione ha registrato il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia: solo 166mila nuovi nati.

«Il Sud – si legge nel rapporto – non è già più un’area giovane, né tanto meno il serbatoio di nascite del resto del Paese, e va assumendo tutte le caratteristiche demografiche negative di un’area sviluppata e opulenta, senza peraltro esserlo mai stata». Il Sud si sta svuotando e «resterà terra d’emigrazione selettiva (specialmente di qualità), con scarse capacità di attrarre immigrati dall’estero, e sarà interessato da un progressivo ulteriore calo delle nascite».

I numeri sono impietosi: la Sicilia perderà oltre un milione di abitanti entro il 2065, arrivando a una popolazione di poco inferiore ai quattro milioni, a fronte degli attuali 5 milioni e 74mila. In generale il Mezzogiorno avrà un calo di oltre 5 milioni e 600mila persone. «La perdita di popolazione – scrivono gli economisti – interesserà da qui al 2065 tutte le classi di età più giovani del Mezzogiorno, con una conseguente erosione della base della piramide dell’età, ed un allargamento al vertice con conseguenze del tutto imprevedibili ma che potrebbero portare ad una sostanziale implosione demografica con costi sociali e economici difficilmente sostenibili. Nel Centro-Nord, invece, la base della piramide vede una presenza delle giovani generazioni adeguata a sostenere il ricambio generazionale».


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