La questura apre le porte a sei incontri aperti alla cittadinanza per ripercorrere il periodo di tempo che separa le due stragi del '92. È la prima volta che accoglie nel suo chiostro la cittadinanza, promuovendo per i prossimi mercoledì diversi incontri culturali e letterari nel ricordo delle vittime
Da Capaci a via D’Amelio, i racconti della memoria Giornalisti e scrittori rivivono i cinquantasette giorni
La questura apre le porte a sei incontri con la cittadinanza per ripercorrere i 57 giorni che separarono le due stragi del ’92. È la prima volta che accoglie nel suo chiostro la cittadinanza, promuovendo per i prossimi mercoledì diversi incontri culturali e letterari nel ricordo delle vittime di mafia, in particolare dei loro colleghi uccisi nelle stragi di Capaci e via Mariano D’Amelio. Cinquantasette giorni che molti palermitani hanno vissuto attraverso il racconto dei giornalisti esperti di cronaca nera ma adesso a questi spetta il compito di diffonderlo alle future generazioni.
Sono emozioni, storie e fatti riportati da chi ha raccontato le pagine più crude di questa città che oltre a rialzarsi ha anche capito il valore della memoria. «La nostra idea – sottolinea Renato Cortese, questore di Palermo – è promuovere un percorso di riflessione, con altri cinque incontri, per noi addetti ai lavori ma soprattutto per tutta la città verso il 19 luglio, data della strage di via D’Amelio. Ecco che la questura, la Casa madre dei poliziotti e dei cittadini ha scelto di affrontare il ricordo di quei giorni affidandolo alle emozioni, paure e tensioni emotive di giornalisti e scrittori, per continuare a non dimenticare». I primi ospiti di questo ciclo dedicato alla memoria sono i giornalisti Franco Viviano e Gian Mauro Costa, rispettivamente de La Repubblica e Rai, penne eccellenti che raccontarono Palermo anche negli anni ’80, in piena guerra di mafia. Quando cosa nostra era diversa e il sangue dei cadaveri si spargeva per le strade di Palermo. Una città dove il coprifuoco era ormai una consuetudine, insomma anni oscuri.
«Sono emozionato di essere qui, nel luogo dove venivo ogni giorno e dove ho conosciuto tantissimi poliziotti, commissari e questori – racconta il giornalista de La Repubblica – e ricordo questi personaggi». E poi aggiunge: «Io non ero amico né di Falcone né di Borsellino ma ricordo entrambe le stragi. Quando morì Falcone lavoravo all’Ansa e ricevetti la chiamata. Mi recai all’ospedale Civico e dopo un poco vidi arrivare Pietro Giammanco all’epoca procuratore della Repubblica di Palermo e poi Paolo Borsellino. Ho una foto che conservo gelosamente e che non volli vendere, quella che ha immortalato il cadavere di Falcone che era intatto come se fosse una statua di cera».
Passarono quei famosi 57 giorni e Palermo venne catapultata in una nuova tragedia, era il 19 luglio 1992. «Ero a mare a Cefalù con mia moglie e un magistrato, e mentre tornavo mi chiamò un amico che abitava in via Belgio e mi disse che vedeva una nube di fumo – racconta Franco Viviano – e tutti pensavamo che fosse stato un attentato al giudice Ayala che abitava al residence Marbella. Poco dopo la mia amica dopo un giro di telefonate scoppiò in lacrime e mi disse che avevano ucciso Paolo Borsellino. Non ci pensai due volte e corsi sul luogo dell’agguato».
Questa era la cronaca dell’epoca davanti a una Palermo atterrita dove la mafia poteva liberamente esercitare il controllo del territorio, tempi passati che oggi vedono una città che ha reagito e raccontata nei diversi romanzi del giornalista Rai. «Sono cresciuto alla Zisa e poi per lavoro mi sono ritrovato a frequentare la Questura e la Squadra Mobile – sottolinea Costa – iniziai a scrivere per il giornale L’Ora per me un’esperienza. Il mio primo articolo per il quotidiano di via Stabile, è all’indomani dell’omicidio Mattarella. Era un altro mondo anche per la nostra professione. A quei tempi al giornale ogni ora si chiamava in base a una divisione implicita i carabinieri o la polizia e allora la sala operativa ci riconosceva e ci davano informazioni cosa che oggi non accade dato il rigido protocollo. Spesso mi trovavo in difficoltà quando ricevevo ordini dal mio capocronista, spesso mi sono trovato a dover rubare le foto a casa delle vittime. Così come il codice etico non ci impediva di intervistare i bambini». L’ultimo appuntamento di questo ciclo di incontri è previsto il 19 luglio alle 19.30.