L'appello di Serafina Cracchiolo vicepresidente dell’associazione Comitato Fibromialgici Italia che promuove la petizione popolare per il riconoscimento di una malattia oggi considerata «fantasma», difficile da diagnosticare ma i cui effetti sono tangibili e invalidanti per la maggior parte delle donne colpite: «Un invisibile solitario dolore disperato»
Fibromialgia, a Palermo un nuovo centro di ascolto «Nessuno deve provare l’inferno che ho vissuto»
Una «malattia fantasma» che non lascia ferite o cicatrici sulla pelle. Di tangibile, però, c’è la sofferenza e il dolore anche se chi li patisce spesso viene tacciato di ipocondria. Si tratta della fibromialgia, «un invisibile solitario dolore disperato» che colpisce doppiamente perché difficilmente chi ne soffre viene creduto, non solo dai familiari ma persino dai medici. E spinge chi ne è affetto – nove volte su dieci sono donne – a isolarsi sempre più in una spirale che, talvolta, sfocia nella depressione. Ritenuta erroneamente una malattia rara – oggi in Italia si contano migliaia di casi accertati, ma potrebbero essere molti di più – è estremamente difficile da diagnosticare e, seppure sono presenti dei tratti comuni, viene identificata con altre patologie, ad esempio con la sclerosi multipla.
Tra le caratteristiche principali la polimiosite, un’infiammazione cronica dei muscoli che si accompagna a un’altrettanta permanente astenia (sindrome da stanchezza cronica). La presenza di oltre un centinaio di sintomi diversi, spesso confusi con quelli di altre patologie, fanno si che venga indicata come sindrome che necessita di un approccio multidisciplinare. Solitamente è identificata con le molto più comuni patologie articolari ma tuttavia non è una artrite, è una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli non rilevabile tramite normali esami di laboratorio e manca di cure farmaceutiche. Una diagnosi difficile a cui spesso si giunge per esclusione, dopo un girone infernale tra ospedali e specialisti.
Come nel caso di Serafina Cracchiolo, un’insegnante palermitana che da oltre 50 anni convive con questa patologia, ma solo recentemente ha scoperto le cause delle sue sofferenze. «I primi sintomi li ricordo già a tre anni – racconta Serafina, vicepresidente dell’associazione Cfu Italia che recentemente ha promosso una petizione popolare per il riconoscimento della fibromialgia che ha già raccolto 15mila firme – poi a cinque fitte alle ginocchia e a sei il primo dolore al cuore». A 15 viene colpita da parestesia al braccio destro e poi da svenimenti: è allora che si comincia a indagare, seguendo la pista delle crisi epilettiche ma senza risultati. «È un invisibile solitario dolore disperato – rivela -, trascorrono anni prima della diagnosi definitiva nel 2014. Spesso anche il più semplice gesto, come alzarsi dal letto, costa una fatica indicibile, ma nessuno mi credeva. Così mi sentivo esclusa, in famiglia non ero compresa, nemmeno dagli amici, per non parlare dei medici. Eppure noi donne affette dalla fibromialgia abbiamo una forza incredibile e non ci arrendiamo mai. Per questo motivo oggi la mia lotta è cercare di informare: ci sono pazienti giovani e non devono vivere l’inferno che ho vissuto io».
Da qui l’idea di creare a Palermo un nuovo centro di ascolto per la fibromialgia. Da circa otto mesi, infatti, all’ospedale Buccheri la Ferla Fatebenefratelli, in collaborazione con l’associazione Aisf (Associazione italiana sindrome fibromialgica onlus), esiste già uno sportello di assistenza e orientamento per i pazienti affetti da fibromialgia. «Ogni lunedì pomeriggio alle 17.30 – spiega la dottoressa Graziella Indelicato, direttore sanitario del centro privato inaugurato lo scorso 8 marzo nel poliambulatorio Athena Salute in viale Strasburgo 422 – si terranno dei gruppi di auto muto aiuto aperti a tutti. Il nostro obiettivo è aiutare concretamente le persone che soffrono diffondendo il più possibile la conoscenza, anche con incontri tematici». Attualmente in Italia esistono due centri di riferimento in strutture ospedaliere – unità reumatologia a Firenze e a Pisa -, ma manca un registro dei pazienti. «Il ministero della salute dovrebbe informare i medici di base sull’esistenza di questa malattia – prosegue – e, non essendo riconosciuta come invalidante, i pazienti non godono di esenzioni. Spesso i dottori sono restii a rilasciare ricette per visite specialistiche. Oltre il danno anche la beffa perché i pazienti sono obbligati a rivolgersi a strutture private».
Inizialmente gli incontri si svolgeranno senza la figura di un conduttore che, nei successivi, sarà affidato alla psicologhe Claudia Cacocciola e Gloria Lo Greco: «Il primo passo è supportare i pazienti ad accettare la propria situazione di sofferenza e i propri limiti – spiega Cacocciola -. Nel primo incontro, molte hanno rivelato di aver smesso di lavorare e questo compromette anche la propria identità. Sicuramente l’accettazione di sé è alla base del percorso psicologico e, in questo percorso, è importante coinvolgere i parenti. Il fatto che questa sindrome non venga riconosciuta, influenza anche i familiari e fa si che il paziente non si senta creduto. Qui, per la prima volta, sono libere di esprimersi e si sentono capite e accettati». Al centro ogni mercoledì mattina sarà aperto anche uno sportello informativo, dalle 11 alle 12:30, curato proprio da Serafina: «Sarà un altro modo per confrontarsi sulla malattia – conclude – ed avere il giusto supporto per migliorare la loro qualità di vita».