Emozionante documentario di denuncia, già vincitore del SalinaDocFest 2008 e ora di una menzione speciale al Festival del Cinema Italiano 2009 di Bari, Come un uomo sulla terra è, dice il giovane regista veneto a Step1, «la ricerca di uno spazio di dignità non per i migranti ma per me, come cittadino italiano, come essere umano»
Segre: Il mio film sui migranti uno schiaffo per le coscienze
Andrea Segre , classe 1976, ha realizzato tra il ’98 e il 2001 alcuni documentari per Raitre, ha vinto vari premi con la “Mal’Ombra” collaborando anche con Sara Zavarise. Tra i suoi lavori annovera anche “Checosamanca” e “A sud di Lampedusa” di cui “Come un uomo sulla terra” rappresenta una ideale continuazione.
Andrea decide di imbarcarsi in un’avventura con Riccardo Biadene (che ha lavorato tra gli altri con Andò e Avati) e Dagmawi Yimer, raccontando un viaggio di dolore e dignità attraverso il quale Dagmawi, uno dei protagonisti, riesce a dare voce alla memoria delle sofferenze umane vissute dai migranti etiopi. La motivazione della giuria del Salina Festival appunto spiegava: “I finanziamenti di stato dell’Italia sono usati dal governo libico per costruire prigioni-lager nel deserto […]. Questo scandalo va denunciato nella speranza di poter contribuire a rompere il muro di omertà che molti governi occidentali, in testa l’Italia, sembrano disposti a garantire a Gheddafi, nell’urgenza di stipulare ricchi affari”. Passa il tempo ma le cose non mutano: “Nonostante si sappia cosa succede là – dice Segre – ancora oggi vengono proposti disegni di legge per finanziare questi accordi”.
‘Come un uomo sulla terra’ vuole dare ‹‹uno schiaffo, un pugno diretto da cui possa nascere una reazione di dignità›› dice Segre, perché se ‹‹tutti hanno visto lo ‘spettacolo’ della stretta di mano tra il Cavaliere e il Colonnello e tutti ricordano la frase scolpita a suggello di quell’incontro: ‘Più petrolio, meno clandestini’; e se a tutti gli italiani venisse concessa la possibilità di vedere il racconto reale dei volti di ‘Come un uomo sulla terra’ forse qualcosa inizierebbe ad incrinarsi nella grande distrazione di cui tutti, tranne piccoli gruppi di potere, siamo vittime››.
Questa stessa speranza però lascia spazio a delle ingenuità perché è vero che ‹‹I grossi gruppi di potere affrontano i nodi delle ingiustizie, che provocano squilibri e repressioni, gestendo le luci dello spettacolo per coprire violenze e responsabilità››, ma è anche vero che in molti pur immaginando, anche se alla lontana, ciò che accade anziché far incrinare qualcosa nella propria coscienza scelgono di farsi rapire dalle distrazioni comuni.
L’Italia è un Paese, come dici tu, che ha scelto la via della distrazione soprattutto dalla dignità dell’essere uomini. Che risposte hai avuto da questa denuncia?
‹‹C’è stata una minima risposta istituzionale con una un’interrogazione da parte di un gruppetto di parlamentari: il Governo non ha ancora dato un responso, noi stiamo organizzando una petizione a livello europeo e già siamo arrivati a tremila firme››.
La diffusione all’indomani del SalinaDocFest?
‹‹L’Italia dal basso ha organizzato un po’ su tutto il territorio una cinquantina di proiezioni da ottobre fino ad oggi e ce ne sono altrettante in programmazione fino alla primavera. In più una ricca risposta da parte dei festival internazionali››.
Come hai conosciuto Dagmawi?
‹‹Ad un laboratorio di documentario a Roma, frequentato da migranti con la passione per l’audiovisivo››.
Al Festival di Bari “Come un uomo sulla terra” ha vinto una menzione speciale. Cosa ti è piaciuto di questa manifestazione?
‹‹Il programma mi è sembrato molto interessante e vivace. Spero continui così››.
Brecht asseriva che “il cinema è una merce che va venduta, acquistata dalle masse…”.
‹‹Un certo tipo di cinema dona, non vende, e dà voce››.