Incursioni notturne senza però rubare niente e lanci di vetro dentro la sede dell’associazione dedicata a Padre Pino Puglisi. «Siamo soli. Le autorità non hanno mai saputo darci risposte. Brancaccio non è fra le priorità»
Centro Padre Nostro, ancora un atto intimidatorio Artale: «Rivolgerci alle forze dell’ordine è inutile»
Dopo più di un anno di stop misterioso, sono ripresi i lavori per concludere il progetto del Centro aggregativo diurno per anziani del Centro Padre Nostro a Brancaccio. Ma, dopo l’inspiegabile rinuncia da parte della prima ditta che aveva iniziato il progetto, si aggiunge all’elenco di stranezze un atto intimidatorio accaduto proprio la sera del 23 maggio, durante la commemorazione del giudice Falcone: «Alcuni ignoti si sono infilati dentro il cantiere. È già la seconda volta che succede» racconta Maurizio Artale, presidente del centro dedicato a Padre Pino Puglisi. «Entrano ma non rubano niente. È un modo per farci capire che possono fare quello che vogliono» spiega il presidente. La prima incursione nel cantiere non è stata denunciata e in occasione della seconda Artale ha optato per una denuncia pubblica attraverso il sito del centro. «Possono anche arrestare Matteo Messina Denaro, ma se le autorità non controllano il territorio quotidianamente allora c’è poco da fare – prosegue l’uomo -. Ci aspettiamo che un giorno di questi qualcuno vada a chiedere il pizzo alla nuova ditta che sta continuando i lavori». Si spera che la realizzazione del progetto possa proseguire senza più incidenti di percorso, in modo da concludere il nuovo centro entro dicembre.
Un’idea sui probabili delinquenti che si sono resi protagonisti negli ultimi giorni delle initimidazioni Artale sembra averla: «Saranno gli stessi che giovedì scorso hanno tirato bottiglie di vetro nella terrazza del centro, dove di solito ci sono volontari, utenti e anziani. Per fortuna in quel momento non c’era nessuno». Il presidente li ha visti scappare: «Sono ragazzi del luogo, secondo me mandati da qualcuno per fare certe cose di proposito». Intimidazioni e sfregi che, purtroppo, non sono una novità per il centro di Brancaccio. «Tagliano le ruote della macchina, rompono i finestrini, distruggono recinzioni – dice ancora Artale -, hanno anche minacciato di spararmi in bocca. Io la chiamo la teoria della tensione, cioè vogliono farci stare sempre in agitazione. Ma noi continuiamo a esserci». Fatti gravi e preoccupanti che sono stati in passato denunciati: «Ho fatto 85 denunce, ma le autorità non hanno mai preso un solo colpevole» precisa il presidente. Che esclude la possibilità di installare delle telecamere di videosorveglianza all’interno del centro: «La gente si sentirebbe schedata, non verrebbe più nessuno».
Gli ultimi eventi non sono neppure stati denunciati alle autorità. «Ci dicono tutte le volte che ci sono delle priorità – riprende a dire Artale -. Ma quando sarà il turno anche di Brancaccio? Hanno già ammazzato un prete, era quello il momento di darcela». «Eppure – continua – si sa che Brancaccio è ancora un centro nevralgico nella gestione del potere mafioso. Se questi ragazzi non li prendono adesso, cresceranno con l’idea dell’impunità e non si potranno rieducare». Artale non nasconde che a volte è difficile resistere allo scoramento, ma lui e i volontari del centro continuano ad andare avanti nella missione che fu anche di Padre Puglisi grazie al fondamentale sostegno della gente perbene. «Molti si indignano, però di fatto nessuno denuncia – spiega ancora -. Si potrebbero fare delle telefonate anonime quando si nota qualcosa che non va, senza mettere a repentaglio la propria vita o la propria automobile». È inevitabile, poi, da parte di Artale un appello a tutti cittadini palermitani, non solo a quelli di Brancaccio: «Ci vuole più partecipazione. Non serve essere martiri, quelli li stabilisce Dio, basta fare il proprio dovere civico. L’omertà è nel nostro dna – conclude il presidente – e noi la possiamo sconfiggere solo se ripartiamo dall’asilo: il bambino deve subito respirare legalità. Solo così si può cambiare, altrimenti non abbiamo speranze».