«Propaganda jihadista sui social» Fermata una ricercatrice universitaria

Promuoveva Al Qaeda sul web e manteneva i contatti con alcuni foreign fighters. Con questa pesante accusa è finita in manette Khadgia Shabbi, una donna di origini libiche che da tre anni lavora come ricercatrice presso la facoltà di Economia dell’ateneo di Palermo

La quarantacinquenne, fermata dalla polizia su ordine della Procura, si trova al centro di un’indagine coordinata direttamente dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Leonardo Agueci e dal pm Gery Ferrara. Il reato contestato a Shabbi è quello di istigazione a delinquere in materia di terrorismo aggravata dalla transnazionalità. Nonostante ciò la donna è stata comunque scarcerata in mattinata per ordine del Gip, che ha deciso per lei l’obbligo di dimora. Provvedimento contestato dalla Procura, che ha promesso ricorso: «La misura – dice il procuratore Lo Voi – è del tutto inadeguata alle esigenze cautelari e all’intensissima rete di rapporti intrattenuti dall’indagata, oltre che contraddittoria e contrari alla più recente giurisprudenza. Pertanto la impugneremo».

Una decisione, quella del gip, che non convince neppure il questore di Palermo, Guido Longo. «Rispettiamo le decisioni della magistratura, comunque proseguiamo il nostro lavoro. Le indagini sono in corso e vanno avanti» ha detto incontrando i giornalisti. La polizia ha monitorato la donna per mesi in seguito ad alcune segnalazioni, accertando i suoi contatti con due foreign fighters, uno in Belgio, l’altro in Inghilterra. La donna avrebbe anche cercato di pianificare l’arrivo in Italia di un suo cugino, poi morto in Libia in uno scontro a fuoco e avrebbe mandato diverse somme di denaro in Turchia. La ricercatrice sarebbe imparentata con esponenti di una organizzazione terroristica coinvolta nell’attentato all’ambasciata americana in Libia nel 2012 e avrebbe fatto propaganda sui social ad Al Qaeda. In particolare, Shabbi, avrebbe anche creato alcuni gruppi su Facebook sui quali avrebbe condiviso immagini di guerra, ricevendo in cambio centinaia di like

«Avete ancora debolezza nei media perché certe informazioni devono essere ben pubblicate e condivise per farla arrivare al più alto numero possibile di persone e non solo condividerle sulle pagine Facebook» diceva ad un amico, intercettata, la ricercatrice che usava per la propaganda anche la piattaforma Just-paste, «utilizzata frequentemente come collettore di informazioni per la propaganda jihadista», secondo quanto scritto dai pm. La donna frequentava le pagine Facebook di diverse organizzazioni islamiste come la Brigata Al Battar, nocciolo duro della succursale libica del Califfato, a cui chiedeva di vendicare il nipote morto, in Libia, durante un combattimento contro l’esercito regolare. E l’amministratore della pagina contattata le rispondeva “Giuriamo che faremo vendetta”.


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