Bar, pub e ristoranti, la guerra dei numeri Calabrò: «Dati occupazione drammatici, basta spot»

L’economia palermitana resiste alla crisi. Almeno secondo i dati diffusi dallo Sportello unico per le attività produttive (Suap) del Comune. Saldo in positivo soprattutto per ristoranti, bar e pub, che per Palazzo delle Aquile fanno registrare negli ultimi tre anni rispettivamente un incremento di 60, 100 e 94 nuovi esercenti. «I numeri forniti dal Suap, frutto di dati certi e non di ipotesi e sensazioni – esulta il sindaco Leoluca Orlando – dimostrano innanzitutto che, contrariamente a quanto alcuni allarmisti ripetono ai quattro venti, questo specifico settore commerciale, pur colpito ovviamente dalla crisi come tutti gli altri, ha un trend comunque positivo e mantiene vivo l’interesse e la capacità degli operatori commerciali».

Nel 2013 i ristoranti aperti sono stati 148 a fronte di 129 che hanno abbassato le saracinesche, lo scorso anno, invece, le aperture sono state 140 contro 109 cessazioni, mentre nella prima metà del 2015 i ristoranti che hanno aperto i battenti sono stati 58 e 48 quelli che hanno chiuso. Anche per i bar il saldo è positivo perché tra aperture e cessazioni, dal 2013, l’incremento è di circa 100 locali. Stesso discorso per i pub o locali d’intrattenimento con 94 locali in più dal 2013 ad oggi.

L’assessore alle Attività produttive, Giovanna Marano, parla di un «aumento incoraggiante», in linea con l’andamento nazionale e «a conferma dell’importanza di puntare sull’accoglienza e sull’appeal turistico come volano per il rilancio economico». Ma la fotografia consegnata dalla rilevazione statistica del Suap contrasta in maniera netta con l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal presidente di Confartigianato Palermo, Nunzio Reina. Per il numero uno dell’associazione degli artigiani, infatti, è proprio il settore della ristorazione quello in cui la situazione è più critica.

Così a fronte di 239 imprese artigiane che hanno ceduto alla crisi (contro le 253 nuove iscrizioni) nel secondo trimestre dell’anno in corso, a fare la parte del leone sono state proprio le aziende del settore della ristorazione. Le cessazioni, infatti, sono state 73 a fronte di 46 iscrizioni su un totale di 4.979 registrazioni alla Camera di Commercio. «Questi dati riguardano il periodo che anticipa l’estate, quello in cui dovrebbero sorgere nuove attività – spiega Reina -. Si assiste invece ad un numero di cessazioni che supera notevolmente quello delle iscrizioni. Sono segnali negativi per l’economia di Palermo». Per il presidente di Confartigianato Palermo si tratta di «numeri sconfortanti» che dimostrano come le imprese siano «sull’orlo del baratro». 

Una visione condivisa anche da Mimma Calabrò, segretario generale Fisascat Sicilia, secondo la quale «al di là delle rielaborazioni statistiche e degli studi analitici» resta il «dato drammatico» dell’occupazione con un numero crescente di lavoratori in mobilità, in cassa integrazione e con contratti di solidarietà. Un’emorragia di posti di lavoro che investe tutta l’Isola. «Carrefour ha lasciato la Sicilia, la Coop ha chiuso diversi punti vendita – dice a MeridioNews la leader sindacale – e, purtroppo, Palermo non si sottrae a questo trend negativo». Anzi per la città Calabrò non vede sviluppo. 

«Nel corso degli anni abbiamo assistito ad una trasformazione del tessuto commerciale con i negozi storici fagocitati dai centri commerciali. In tal modo abbiamo finito per perdere non solo un pezzo di economia di questa città, ma anche di storia e di cultura. Con Flaccovio, Pustorino, Migliore, Bellotti, Fiorentino abbiamo perduto anche la nostra identità». Né va meglio con le grandi multinazionali sbarcate in Sicilia. «Molte lasciano l’Isola e quelle che restano mettono in campo strategie difensive e non di sviluppo. Come in un pronto soccorso forniamo alle aziende agonizzanti un po’ di ossigeno ma non terapie d’urto».

Insomma, per Calabrò, le «soluzioni tampone» messe in campo dai governi nazionali, regionale e locali non bastano. «I tempi della burocrazia – denuncia – non coincidono con quelli dell’economia, delle imprese e della tutela dei posti di lavoro. I giapponesi hanno costruito in 20 giorni un palazzo di 16 piani, noi ancora a distanza di mesi dal cedimento del viadotto che ha spezzato in due la Sicilia discutiamo di progetti».

Una situazione di stallo che favorisce anche la fuga dei cervelli. «Perdiamo lavoratori con un alto tasso di scolarizzazione – spiega ancora Calabrò -. Per non parlare dei nostri giovani ricercatori. La Sicilia perde l’investimento fatto in istruzione e finiamo per regalare all’estero i nostri talenti». Alessandra, ad esempio, ha 22 anni. Il suo sogno è diventare una parrucchiera e per raggiungerlo ha seguito un corso di formazione regionale. Dopo il conseguimento del diploma, però, ha deciso di trasferirsi in Germania, dove ha ottenuto un contratto e un lavoro. «Non ha avuto altra scelta – racconta Calabrò -. Qui sarebbe rimasta disoccupata, così ha accettato di lasciare la sua famiglia e di cercare una vita altrove».

Dalla sua Alessandra ha il vantaggio della gioventù. Per le decine di lavoratori rimasti disoccupati dopo la crisi che ha fatto chiudere i battenti ad aziende storiche, invece, il futuro è a tinte fosche. «Sono troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per essere appetibili sul mercato del lavoro» ammette la segretaria generale della Fisascat Cisl Sicilia, che alle istituzioni aveva lanciato una proposta: creare una long list con questo personale. «In caso di nuove aperture – dice – i nuovi investitori potrebbero attingere in percentuale a questo bacino. La proposta, però, è caduta nel vuoto».

«È necessario sedersi tutti attorno ad un tavolo e remare nella stessa direzione – aggiunge – senza distruggere quanto di buono fatto dalle amministrazioni precedenti e pianificando interventi a lungo termine». L’amministrazione Orlando, assicura, è stata «presente» sui temi del sociale e del lavoro. «C’è buona volontà» dice, il problema è che si fanno «interventi spot e non organici e strutturali». Un esempio? La pedonalizzazione del Cassaro. «Chiudere il centro alla auto non basta ad incentivare la cultura del mezzo pubblico – dice – soprattutto se mancano navette e vie alternative. Si potrebbe poi pensare ad attività di intrattenimento per animare le zone pedonali, prevedendo, ad esempio, serate danzanti o di intrattenimento a costo zero. Palermo è una città complessa con mille sfaccetture – conclude la leader sindacale – gli amministratori che si sono susseguiti negli anni sono rimasti vittime degli interessi dei partiti, delle lobby di potere o semplicemente della necessità di sopravvivere. Adesso è arrivato il momento di costruire, non possiamo più aspettare». 


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