L'ente camerale di Messina fornisce i dati di un'economia stagnante e individua nella grande opera «l'unico rimedio per risollevare le sorti della città». Tesi che il prorettore dell'ateneo peloritano sposa: «Solo grazie al Ponte la Sicilia sarebbe potuta diventare una piattaforma logistica del Mediterraneo, rendendo competitivo tutto il Mezzogiorno»
Ponte sullo Stretto, rimpianti della Camera di commercio Prof Limosani: «Zero investimenti, di solo turismo si muore»
Se aliscafi e navi traghetto possono tranquillamente risolvere il problema della mobilità nello Stretto, è il Ponte «l’unico rimedio per risollevare le sorti economiche di Messina» e, soprattutto, «l’unico strumento per candidare la Sicilia a piattaforma logistica del Mediterraneo». A sollevare la questione è stato, l’altro ieri, durante la tredicesima giornata dell’economia, il segretario generale della Camera di commercio peloritana, Alfio Pagliaro. A riprenderla, oggi, è Michele Limosani, prorettore e docente di Economia politica dell’Università di Messina, oltre che componente del tavolo ministeriale sulla mobilità nello Stretto. E convinto sostenitore del Ponte sullo Stretto.
L’analisi di Pagliaro, che ricopre il ruolo anche nell’ente camerale di Catania, è basata sulle risultanze dei dati emersi dal registro delle imprese al 31 dicembre 2014. Da un lato occorre fare i conti con le dimensioni delle 60.275 imprese registrate, di cui 45.983 attive: «Nel 91,8 per cento dei casi si tratta di micro imprese. Le piccole sono il 6,1 per cento, quelle medie l’1,5, mentre le grandi sono appena lo 0,1 per cento, da 50 a 70 in tutto. La loro esiguità implica la mancanza di soggetti capaci di creare ricchezza. Si preferisce aprire in altre aree economiche. È il caso del Gruppo Franza che ha chiuso qui per aprire a Catania una nuova linea dell’autostrada del mare, con un porto del nord».
L’economia messinese è «chiusa, stagnante», secondo il tecnico. Non attrae investimenti e necessita di una «frustata». Da qui la proposta di puntare sul turismo, con un «programma quinquennale o decennale di investimenti, da parte delle istituzioni, per la valorizzazione del territorio», e sul Ponte: «Al momento, la vedo come l’unica opera capace, negli anni, di fare arrivare miliardi di euro, di portare lavoro e far crescere l’indotto». Anche perché il 34,44 per cento delle aziende opera nel commercio: «Pertanto l’economia si regge solo su un mercato interno». Seguono costruzioni (15,08 per cento), agricoltura (12,84) e attività produttive (8,66). «Il turismo è al 7,5, a Catania non arrivano al 5». Che il quadro sia «desolante» lo conferma il commissario della Camera di commercio, Franco De Francesco, dati sull’occupazione alla mano: «L’Inps, nel primo trimestre 2015, evidenzia una riduzione del 3,5 per cento, che arriva al 5 nel caso dei soli lavoratori dipendenti».
A fornire un ulteriore elemento di riflessione è Limosani: «Fino a quattro, cinque anni fa, nello Stretto erano previsti investimenti fino a 10 miliardi di euro. Oggi nella programmazione abbiamo zero. Si trattava di collegamenti ferroviari, portuali, metropolitani connessi al Ponte. Senza di esso è impossibile pensare a investimenti importanti. Avrebbe costituito un prezioso moltiplicatore. È una perdita secca». Recentemente, il tavolo ministeriale ha lavorato a un’ipotesi di sviluppo dei collegamenti tra le due sponde dello Stretto: «È un lavoro alternativo al Ponte, che risolve un problema locale, permettendo di transitare senza creare problemi ambientali. Ma solo grazie al Ponte la Sicilia si sarebbe potuta candidare a piattaforma logistica del Mediterraneo, rendendo competitivo tutto il Mezzogiorno».
Il docente vede la storia ripetersi: «Già nel corso della rivoluzione commerciale, intorno al 1100, le repubbliche marinare di Genova e Venezia fecero fuori quelle di Pisa e Amalfi. Ai giorni nostri, noi ci siamo tirati fuori e ci rifiutiamo di aiutare Gioia Tauro, che vediamo come un nemico a causa della nostra miopia». Secondo il prorettore, «non si può vivere solo di turismo, non siamo le isole Eolie. Di turismo – sentenzia – moriamo disoccupati. Continuando così – conclude, snocciolando alcune proiezioni – nei prossimi dieci anni, la popolazione della città di Messina scenderà a 200mila abitanti. Il flusso emigratorio coinvolgerà intere famiglie. Si avranno una riduzione della produzione del 15 – 20 per cento e una fortissima cura dimagrante nei settori pubblici. Non potremo assicurare quel che abbiamo garantito per 40 anni. Diventeremo una città micropolitana, con tutto quel che ne consegue. La scelta è fra l’accompagnare questo processo o il diventare davvero una realtà metropolitana».