«Bellissimo, ma difficilissimo». Così la docente palermitana descrive il periodo a fianco di Fausto Raciti alla guida del Partito democratico. E se da un lato rivendica il ruolo di Cassandra sulle primarie ad Agrigento, dall'altro non critica l'ingresso di Articolo 4: «Chiunque arrivi, se segue il codice, ben venga». Nella nuova segreteria regionale, però, «ci sono solo due donne»
Mila Spicola lascia la segreteria regionale del Pd «Il partito è pacificato: non ci sono più divisioni feroci»
«Un’esperienza bellissima, ma difficilissima». Mila Spicola, palermitana, insegnante e tra le fondatrici del Partito democratico, descrive così il periodo appena concluso di vicesegretaria regionale del Pd. Le dimissioni sono arrivate ieri, causate dall’impegno assunto da gennaio nella squadra del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone. Spicola non nasconde le difficoltà di un anno di guida del Pd a fianco del segretario Fausto Raciti. «È stata una palestra – afferma – Abbiamo vissuto una serie di vicende complicatissime, molti problemi connessi al governo regionale». Ma, adesso, consegna agli iscritti «un partito pacificato: non ci sono quelle divisioni feroci che c’erano un anno fa, in questi tempi».
Eppure di problemi, in queste settimane, il Pd ne sta vivendo proprio sul territorio regionale. E c’è una questione nella quale Mila Spicola rivendica il ruolo di ammonitrice: «Sono stata Cassandra nell’esprimere pubblicamente, unica a farlo, in tempi non sospetti la mia perplessità su Agrigento», ha affermato. Alle primarie per la scelta del candidato sindaco della città dei Templi è stato eletto Silvio Alessi, conosciuto per posizioni molto più vicine a quelle di Silvio Berlusconi che di Matteo Renzi. «Tutto si è svolto all’interno di un terreno legittimo. Che diventa poco legittimo, perché in assenza di regole si fanno degli errori», precisa l’insegnante. «Gli elettori devono decidere se posizionarsi da una parte o di un’altra; devono sapere dove andare, cosa aspettarsi, chi votare. Ma se già nelle primarie confondiamo l’elettore, che si trova candidato chi un mese prima o in itinere proviene da un’altra storia politica, qualche interrogativo dobbiamo porcelo».
La responsabilità, secondo l’ex vicesegretario, sta «in un vulnus alle regole». Una mancanza di chiarezza che ha portato a numerose polemiche tra i vertici del Pd. «La persona candidata non aveva una tessera di un altro partito, quindi lo statuto non è stato violato, ma si sa da dove provenisse – sottolinea – Personalmente non ero d’accordo. Ho mostrato la mia perplessità, ma più di quello non potevo fare: le regole sono state rispettate, ma ce ne sono di non scritte», precisa. Secondo la docente, alla base, sta «una questione di rispetto delle idee dell’elettore. Mi chiedo chi ha votato a queste primarie? Un elettore del centrodestra? Del centrosinistra?».
E se quello di Agrigento è un elemento nuovo del dibattito all’interno del partito, a tenere banco c’è anche quello che – quasi con un sospiro – Mila Spicola definisce «un caso antico»: Enna e la candidatura di Mirello Crisafulli. Sul politico pende il no alla sua candidatura giunto alle primarie del 2013 a causa delle indagini scattate per la presunta vicinanza con un boss ennese, finita anche nelle immagini delle forze dell’ordine e salita alla ribalta nazionale dopo il duro attacco di Pif-Pierfrancesco Diliberto durante la Leopolda. «Noi renziani ci siamo schierati contro, già dal 2013 – ricorda Spicola – Non ha condanne, ma è una questione di opportunità politica. Se dovesse candidarsi e vincere, anche lì siamo sempre nella legittimità delle cose». La questione torna al dialogo interno al movimento sulla direzione da prendere: «C’è una mancanza di discussione sulle regole – spiega – Non si discute, ma poi alle primarie si ripresentano sempre le stesse questioni», dice, proponendosi di portare il tema alla prossima direzione nazionale.
Altro elemento che ha tenuto banco nelle ultime settimane è stato l’ingresso di Articolo 4 tra le fila del partito, con l’esodo per protesta di 600 iscritti. «Nel 2007, quando abbiamo fondato il Pd, abbiamo creato un partito come forza maggioritaria, che doveva decidere se accettare di includere o no». L’orientamento ha portato alla prima opzione. Ma, precisa, «l’inclusione non deve portare problemi. Finché sono persone che aggiungono valore, assimilando lo spitito del partito, ben vengano. Ma se diventano solo delle posizioni di opportunismo, speranze di salire sul carro del vincitore, in un’esperienza in cui non mutano ideali e modo di fare politica, non va più bene». Secondo la docente, «la responsabilità è personale. Abbiamo uno statuto e un regolamento che ci permettono di agire nel caso in cui ci siano problemi. E dobbiamo avere il coraggio di agire prima», avvisa. «Chiunque arrivi, se si comporta seguendo il codice, ben venga». Anche se, prima di affrontare nuovamente un ruolo pubblico da candidato, per Spicola «magari è meglio aspettare un po’ di tempo».
Nonostante i momenti turbolenti, dell’esperienza nella segreteria del Pd Mila Spicola tiene a ricordare il rapporto con la base. «C’è un’attività di militanza che non compare nelle prime pagine dei giornali. Ho girato quasi tutte le province per la consultazione sulla buona scuola e vorrei che ci si confrontasse così anche per tutti gli altri temi. Acqua, rifiuti, ambiente: se si andasse di città in città, molti personalismi verrebbero superati».
L’unico rimpianto con il quale l’ex vicesegretaria lascia il ruolo è la composizione della nuova segreteria regionale: «Nulla da dire sulle persone – premette – Il problema gravissimo è che non c’è l’equilibrio di genere». Undici nuovi ingressi, tutti under 40: Caterina Altamore, Domenico Venuti, Simone Di Stefano, Maria Giovanna Puglisi, Salvatore Graziano, Antonio Ferrante, Piero David, Antonio Vullo, Francesco Marano, Dario Safina e Giovanni Cafeo. Ma solo due donne. «È un brutto segnale – afferma con voce grave – e non è una cosa irrilevante. Solleverò anche questo tema in direzione nazionale. Non è possibile che ogni volta che non ci siano indicazioni chiare, non si rispettano le linee guida in un governo e in un partito di cui questo elemento è un segno distintivo».