Due tragedie separate da un secolo e un oceano, ma con molti punti in comune: l'incendio nella fabbrica statunitense dove morirono 146 persone e il crollo della palazzina che travolse la vita di cinque donne. Partendo da filmati con le testimonianze dei sopravvissuti, Costanza Quatriglio ha raccontato le due vicende in una riflessione sulla fragilità dei diritti dei lavoratori. La pellicola sarà presentata stasera al cinema King
Triangle, cento anni dopo Barletta come New York La regista Quatriglio presenta il suo film a Catania
Barletta come New York. Cento anni e un oceano separano due stragi che hanno molti punti in comune. Il crollo di una palazzina, il 3 ottobre 2011, che ha provocato la morte di cinque donne (quattro delle quali operaie) da una parte. Dall’altra l’incendio che nel 1911 ha distrutto la fabbrica Triangle, portando alla morte di 146 persone, per la maggior parte immigrati di origini italiane ed ebree, soprattutto donne. Un racconto quasi speculare, che permette – oggi come allora – di analizzare la fragilità delle condizioni di lavoro e dei diritti degli operai. È il tema di Triangle, l’ultimo film di Costanza Quatriglio che verrà presentato questa sera, alle 20.30, al cinema King di Catania.
La regista di origini palermitane ancora una volta parte dai documenti, tema fondamentale nei suoi ultimi due lavori, Terramatta, sull’opera di Vincenzo Rabito, e Con il fiato sospeso, ispirato alla vicenda dei cosiddetti laboratori dei veleni di Farmacia. «Anche qui si parte dai documenti, però questa volta è distillato di documento puro – spiega Quatriglio – In Con il fiato sospeso, per esempio, era la fonte dalla quale prendere ispirazione. Per Triangle, invece, ho lavorato su materiale d’epoca e su testimonianze dell’oggi».
Nell’opera sono protagoniste le voci dei sopravvissuti, a cominciare da quelle lontane dai suoni gracchianti registrate negli anni ’50 da Leon Stein per il suo libro pubblicato nel 1962 The Triangle Fire. «Quando ho visto quelle immagini era la primavera 2012 e il ricordo di quello che era avvenuto a Barletta era ancora molto forte – ricorda Costanza Quatriglio – Ho pensato che l’unico senso che potevo dare loro era raccontare quella storia rapportandola all’oggi. Mettere assieme queste due vicende, così lontane». La regista inizia così un lavoro d’archivio che si incrocia con l’incontro con l’unica delle lavoratrici dell’opificio pugliese di via Roma sopravvissuta al crollo: Mariella Fasanella.
«Quando l’ho conosciuta si sentiva stanca, violata da quanti non hanno rispettato il suo dolore». La donna, che all’epoca aveva 37 anni, è stata l’unica delle sue colleghe a essere tratta in salvo dalle macerie. Per Antonella Zaza (36 anni), Giovanna Sardaro (30 anni), Matilde Doronzo (32 anni), Tina Ceci (36 anni) non c’è stato niente da fare. A morire assieme a loro, vittima di un destino ineffabile, anche Maria Cinquepalmi, appena 14enne, figlia dei titolari della fabbrica.
Il racconto di Mariella Fasanella è ricco di interrogativi, il più grande dei quali riguarda il suo essere riuscita a sfuggire alla morte: «Perché proprio io? – si chiede – Perché non Maria che era una ragazzina? Perché non Matilde, che era una brava ragazza? Perché proprio io?». «Per me incontrare Mariella è stato d’ispirazione – afferma Costanza Quatriglio – Ha una grandissima forza d’animo e mi ha dato un grande insegnamento: si può e si deve ricominciare da capo. Anche quando ci si trova davanti a eventi così sconvolgenti».
Triangle è stato presentato in anteprima al festival di Torino, dove si è aggiudicato il premio Cipputi «per la sua capacità di intrecciare in maniera non rituale, storie che si legano in un filo che danno continuità alla memoria del tempo. Il tutto con un’idea forte di regia, attraverso la storia di un personaggio unico. Un documentario che dimostra quanto ci sia bisogno di immagini che facciano riflettere lo spettatore». La prima proiezione ufficiale si è tenuta il 12 febbraio a Barletta, alla presenza della leader della Cgil Susanna Camusso e della vicepresidente del Senato Valeria Fedeli. «Ma hanno partecipato soprattutto i cittadini e i parenti delle vittime», quelle persone che per prime iniziarono a scavare a mani nude tra le macerie cercando di salvare vite umane. «Era un atto doveroso essere lì, per portare loro queste testimonianze».