Un’accademia sartoriale e un atelier in un bene confiscato alla mafia nel cuore della Borgata, un quartiere di Siracusa ad alto rischio di disagio e devianza. A trasformare un immobile che fu dell’omonimo clan del rione aretuseo, e che era oramai praticamente diroccato, è stato il progetto Le tele di Aracne rivolto a giovani detenuti […]
La sartoria nata in un bene tolto alla mafia dove lavorano detenuti e donne a rischio: «Ricuciamo vite scucite»
Un’accademia sartoriale e un atelier in un bene confiscato alla mafia nel cuore della Borgata, un quartiere di Siracusa ad alto rischio di disagio e devianza. A trasformare un immobile che fu dell’omonimo clan del rione aretuseo, e che era oramai praticamente diroccato, è stato il progetto Le tele di Aracne rivolto a giovani detenuti della casa circondariale di Cavadonna e donne a rischio di marginalizzazione sociale. «È un potente strumento di riscatto e di inclusione sociale che impatta due fragilità, quelle delle persone coinvolte e quelle del quartiere dove insiste la struttura», spiega a MeridioNews Sebino Scaglione, il presidente di Passwork, la cooperativa sociale che è capofila dell’associazione temporanea di scopo – composta anche da Cna Siracusa, Moda Ermes Comunicazione e Fondazione di Comunità Val di Noto Ets – che gestisce il progetto promosso da Comune di Siracusa e finanziato dal ministero dell’Interno.
Nella sartoria sociale di via Bainsizza è già iniziato il primo laboratorio di formazione a cui stanno partecipando 12 persone: cinque detenuti del carcere Cavadonna di Siracusa e sette donne a rischio di marginalizzazione, di cui tre che vivono in case rifugio per vittime di violenze. «Un progetto che ha l’obiettivo – dichiara Scaglione – di tessere un tessuto sociale fragile e di ricucire vite sdrucite». Come quella di Amina, una ragazza originaria della Tunisia che è ospite del progetto Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) a Cassaro (nel Siracusano), dove vive con il marito e il nipote. Dopo un’esperienza lavorativa importante di sarta svolta nel suo Paese, oggi Amina è una delle tutor di Le tele di Aracne. «L’incontro con la nostra accademia sartoriale – dice il presidente di Passwork – ha scatenato tutte le sue potenzialità finora inespresse».
E, forse, di più l’arte riparatrice della sartoria ha fatto con Giuseppe. Un detenuto poco più che 30enne, in uscita dal circuito penale per cui sta scontando una pena dopo un reato grave. «Durante la prima giornata di formazione, il suo impatto emotivo è stato fortissimo». Prendere in mano le forbici, srotolare il metro, appuntare gli spilli e gli aghi, indossare un ditale e toccare i filati lo hanno riportato indietro agli anni della sua infanzia. «A uno dei pochi ricordi belli che lo legano a quel periodo perché sono gli attrezzi del mestiere del nonno – racconta Scaglione – che aveva provato anche a trasferirgli questa passione». Interrotta, ma di cui adesso riprende le fila «con Le tele di Aracne, un nuovo inizio che sa di riscatto e di rinascita». Tanto personale quanto sociale.
L’accademia ha già dato vita a una linea sartoriale ispirata al riutilizzo del cosiddetto corredo della nonna: creazioni artigianali fatte all’uncinetto cucite sulle coffe tradizionali siciliane, sui cappelli di paglia, sulle infradito e su altri accessori e capi di abbigliamento. «Siamo fermamente impegnati a garantire la prosecuzione di questo progetto – conclude il presidente di Passwork – per continuare a tessere storie di speranza e opportunità».