Prosegue la nostra conoscenza dei ricercatori universitari, attraverso la voce degli stessi
La tipica giornata del ricercatore universitario. Chi è, cosa fa, come la pensa. Parte II
SECONDA PARTE
La domanda che sicuramente ha dato più sfogo alle capacità denigratorie dei citati dottori è stata la seguente: ” Come giudica la riforma Moratti?” Il dott. Schilirò, riacquisito ormai il suo emblematico appiombo risponde laconicamente:” La giudico molto male. Il ruolo dei ricercatori sarà messo in esaurimento. Non ci saranno più ricercatori. Il loro lavoro è molto importante, ma precarizzarlo vuol dire non riconoscerlo. Rendere più difficile l’espletazione delle sue funzioni significa non riconoscere questa importanza “. Il dott. Cannizzaro afferma: “La riforma Moratti è da rigettare in toto. Non ne faccio una discorso ideologico o pregiudiziale, ma, analizzando i punti di ricerca, posso dire che sta smontando veramente quella che è l’università e, quindi, tutto il sistema di formazione di livello superiore, arrivando a coinvolgere anche le scuole medie secondarie. Scendendo nel particolare, è prevista la soppressione della figura del ricercatore, attività sicuramente entusiasmante per qualsiasi docente. Da non dimenticare poi la condizione specifica di quei ricercatori precari con assegni di ricerca e dei dottori di ricerca che danno un contributo fondamentale allo svolgimento di tutte le attività nell’ambito accademico. Pare che la riforma non abbia previsto un arruolamento particolare in sostituzione di questi ruoli o la tutela di chi, già da diversi anni, li svolge, anche se in condizione precaria”.
Altrettanto acceso è l’intervento del dott. Mazzone, il quale ci ha rilasciato un’attenta analisi della riforma Moratti, che per limiti di spazio non possiamo riportare per intero. ” Giudicherei la riforma pessima. Innanzitutto è pessimo il momento in cui entra in vigore, infatti sarebbe il caso, semmai, di trarre i bilanci sul già attivato 3+2. Inoltre, questa riforma è discutibile nel merito dei contenuti. Ha un grandissimo difetto a monte, è fatta a costo zero. Una riforma che comporta un aggravio di carichi didattici, degli oneri di docenza, non si può pensare di realizzarla non spendendo neanche un euro. Ancora, penalizza i ricercatori che ormai sono docenti a tutti gli effetti e che, da anni, si battono per avere la docenza, cioè per essere riconosciuti docenti, seppur di terza fascia, dopo gli ordinari e gli associati, ma comunque docenti a pieno titolo. Oggi, di fatto, siamo in molti ad essere titolari di una cattedra, docenti quindi a pieno titolo, senza però un riconoscimento giuridico. Quindi, dovremmo diventare professori aggiunti non si capisce bene a chi, visto che per me e molti altri colleghi non c’è un titolare della cattedra. Quindi di chi? Di che cosa?”.
La domanda seguente è stata: “E’ concorde con l’idea che non si sarebbe dovuto cambiare il vecchio ordinamento didattico?” Schilirò: ” E’ chiaro che il vecchio ordinamento non funzionava interamente, ma non sempre il nuovo è meglio del vecchio. Il vecchio ordinamento era sicuramente riformabile, ma non era il caso di rivoluzionarlo come è stato fatto. Il 3+2 ha comportato lavoro in più per gli studenti che da sei esami circa all’anno sono passati a quindici, con la conseguenza che pochissimi sono arrivati a concludere i tre anni della laurea di primo livello in tempo. Il 3+2 doveva servire ad accelerare la meta della laurea, ma il risultato è opposto “.
Dello stesso avviso è il dottor Cannizzaro: ” Si, nonostante qualcosa era ed è da modificare. Mi riferisco all’ordinamento didattico d’ateneo e all’autorizzazione dei corsi di laurea. Bisognerebbe riprogrammare i corsi di laurea e attenuarne la proliferazione. Non riesco a capire se, alla fine, tutti i corsi recentemente attivati, data la loro forte specializzazione, saranno davvero utili per impegnare i nostri futuri dottori in queste discipline “. Non smentisce quanto detto dagli altri il dottor Mazzone che afferma: ” Il vecchio ordinamento è sicuramente migliore, anche se il bisogno di un cambiamento nell’università è largamente condiviso. Ad esempio, andrebbe cambiato il meccanismo dei concorsi, da locale a nazionale “.
L’ultima domanda è stata: ” A causa di questa riforma, all’università si sta facendo più politica del solito. Lei crede sia un bene? ” Non ha dubbi il dottor Schilirò: ” Credo che la politica debba svolgere un ruolo importante nello studente universitario. Lamento una difficoltà da parte di questo ad esserne davvero consapevole rispetto a qualche anno fa. In più, questo è un momento di svolta, in cui sicuramente la politica recita una parte da leone. Non esiste la possibilità da parte di uno studente, di un cittadino, di vivere in un laboratorio asettico nel quale impara, sperimenta e non comunica con il mondo esterno, il mondo della civiltà, della politica “. La risposta di Cannizzaro: ” Il dibattito è sempre positivo. Io sono convinto che il dibattito politico sulle grandi questioni quali la cultura, l’istruzione, la formazione sia sempre positivo. Credo che i docenti universitari, i ricercatori, debbano dialogare con gli studenti anche del proprio futuro, anche del futuro di questa grande istituzione che è l’università. Dialogare, confrontarsi, per trovare poi delle linee guida che ci riportino in una condizione più idonea, ottimale per la formazione e il futuro degli studenti, ma anche per chi svolge un lavoro di formatore, come quello di docente o di ricercatore “.
Conclude Mazzone: ” Io credo che “politica” non sia una brutta parola. Credo che la parola “politica”, se si assume nel senso corretto del termine, significhi preoccuparsi di quello che ci succede quando noi gestiamo qualcosa collettivamente, quando noi ci occupiamo della cosa pubblica. Questo della riforma è un caso in cui è opportuno fare politica. Certamente mi auguro che questa faccia crescere consapevolezza di quello che sta accadendo, perché riteniamo che il coinvolgimento degli studenti sia fondamentale “. L’arcano è svelato luce e chiarezza è stata fatta.