Long drink/Ora tutti si accorgono che l’euro è in crisi…

Incredibile! Adesso anche i commentatori che, da sempre, ci magnificano le virtù salvifiche dell’euro scoprono che la moneta europea è a rischio. Ma va!

Il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha lanciato l’avvertimento: “Alla luce di ciò che sta succedendo e con l’attuale struttura, l’Eurozona corre il rischio concreto di disintegrarsi”.

Non ha torto. Anche se questa potrebbe essere una mossa per convincere i tedeschi a mollare la presa. Sarà così?

Intanto, come ha raccontato ieri il nostro Gabriele Bonafede, la Grecia – se le elezioni saranno regolari – dovrebbe avere presto un Governo che porterà il proprio paese fuori dall’euro. Contrariamente a quanto si cerca di far credere, per la Grecia non sarà una disfatta. Anzi, è probabile che l’economia reca riparta.

Su questa storia dell’euro andrebbe fatta un po’ di chiarezza. Spiegando a lettori – come ha fatto più volte il nostro Gabriele Bonafede – che il problema è politico.

Il nostro Bonafede è convinto che il problema sia la Merkel e il sistema di potere che rappresenta. E’ probabile che, in parte, abbia ragione. Ma il vero problema – sul quale continuiamo a non volerci soffermare – è la Germania riunificata.

Nella seconda metà degli anni ’80 l’oggi senatore a vita, Giulio Andreotti, venne quasi ‘crocifisso’ perché disse, senza, giri di parole, che le due Germanie (allora erano ancora due: quella orientale, comunista e quelle occidentale non comunista) “non avrebbero mai più dovuto riunificarsi”. Lo ripetiamo: Andreotti venne quasi ‘crocifisso’.

Oggi quelle parole tornano di moda. Perché la responsabilità della crisi dell’Unione Europea è della politica monetaria imposta dalla Germania.

L’Unione Europea nasce da un’intuizione felice. Però, nel corso del tempo molte cose sono cambiate. A partire, appunto, dalla riunificazione delle due Germanie.

Oggi subiamo non soltanto una politica monetaria, ma un’imposizione sugli stili di vita che la Germania ci propina e ci impone. E’ come se i tedeschi ci stessero dicendo: voi non sapete produrre come noi? voi non volete fare vostra la nostra organizzazione dello Stato, i nostri ritmi di lavoro, la nostra capacità di organizzare l’economia? Bene: se non siete in grado di venirci dietro dovete abbassare il vosto livello di vita.

Che è quello che a succedendo. Mentre ci continuano a propinare l’insopportabile retorica di un’Unione Europea dalle mille virtù – con atmosfere che ricordano un certo Minculpop – i nostri livelli di vita si sono spaventosamente abbassati. Ormai, in Italia, non c’è famiglia che non abbia ridotto i consumi. A tutti i livelli. Ormai è normale vedere interi nuclei familiari dei ceti medio bassi – e talvolta ache dei ceti medi – recarsi nelle mense per i poveri.

Stanno cercando di farci credere che nella Prima Repubblica si stava peggio. Non è vero. Si stava molto meglio. Poveri lo stiamo diventando da quando siamo entrati nell’euro. E i responsabili hanno nomi e cognomi: Romano Prodi per il cambio lira-euro sbagliato e Silvio Berlusconi per la gestione dissennata – e piena di speculazioni – della fase di passaggio ta lira a euro. Il resto lo sta facendo la Germania.

Che fare? Non abbiamo la bacchetta magica. Il nostro Gabriele Bonafede, che nella vita fa l’economista, ci dice che va cambiata la poltica monetaria. Noi, invece, abbiamo il dubbio che a non funzionare sia l’Europa dell’euro.

Il professore Massimo Costa, economista anche lui, dice che bisognerebbe uscire dall’euro. La Grecia lo sta facendo. E forse si salverà. Noi,invece, continuiamo a essere sommersi dalla retorica dell’euro.

Anche su questo bisognerebbe avere un po’ più di informazione. Quando l’Argentina dichiarò ‘fallimento’ tutti si aspettavano la fine di questo Paese. Si pensava che sarebbero tutti morti di fame.

Oggi l’Argentina è lì. Questo Paese, oggi, esporta poco e importa ancora di meno. Ma gli argentini vivono bene. Molto meglio di come viviamo noi.

Chi – testardamente – continua a magnificare l’euro, continuando a ignorare il fallimento politico prima che economico dell’Unione Europea, ci ricorda che l’autarchia economica è fuori dalla storia. Ma è proprio così?

Vent’anni fa, al limite, anche dieci anni fa anche una blanda forma di autarchia sarebbe apparsa antistorica. Oggi non è più così. E lo dimostra la vicenda – tutto sommato a lieto fine – dell’Argentina.

Ai teorici del libero scambio di beni tra tutti i Paesi del mondo va detto che, oggi più di ieri, che la libera circolazione dei beni sta creando più problemi che benefici.

Valga per tutti il caso dei beni alimentari. Oggi, in Italia, siamo sommersi da frutta e ortaggi che arrivano da chissà dove. E i controlli, rispetto a questi fenomeni, possono fare poco.

Entrando in un supermercato – soprattutto nel Sud d’Italia, l’area più povera del nostro Paese – abbonda l’ortofrutta senza marchio. Il massimo che si arriva a leggere è: “Prodotto in Italia”. Il resto è un mistero.

Per chi conosce un po’ i problemi dell’agricoltura, però, il mistero è svelato. E’ bene che i nostri lettori sappiano che l’ortofrutta senza segni di riconoscimento dei luoghi di produzione arriva da Paesi dove vengono regolarmente utilizzate tecniche agronomiche che l’Italia ha bandito dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso. In certi Paesi, per produrre frutta e ortaggi, si utilizzano ordinariamente i cloroderivati e altri pesticidi che provocano patologie gravissime.

Rispetto a questi fenomeni l’Unione Europea non solo non è intervenuta, ma ha peggiorato le cose. Lungi dall’introdurre obbligatoriamente la ‘tracciabilità’ dei prodotti (cioè la ‘storia’ di ogni ortaggio e di ogni frutto: dove è stato coltivato, in che terreni, con quali tecniche agronomiche, con che tipo di pesticidi), Bruxelles e Strasburgo hanno certificato la produzione di succhi di frutta senza frutta, la produzione di vino senza uva e via continuando con altre alterazioni alimentari. Tutti regolamenti e direttive tese a favorire i commercianti e i finanzieri e a colpire le tasche e la salute di milioni di europei. Tutti provvedimenti adottati,in buona parte, non da un Governo europeo eletto dal popolo, ma da un esecutivo – la Commissione – i cui componenti vengono designati dai potentati commerciali e finanziari di ogni Paese europeo. ‘esatto contrario di quello che dovrebbe essere una democrazia.

Questa gran massa di prodotti agricoli arriva ogni giorno sulle nostre tavole e ci avvelena. Da qui l’aumento di certe malattie.

Non solo. Questi prodotti agricoli di pessima qualità, quando fanno ingresso nei nostri supermercati, vengono venduti a prezzi bassi. Con il risultato di far chiudere le nostre aziende agricole. I prezzi di questi prodotti – fateci caso – vengono rialzati solo dopo che chi di dovere ha accertato che le aziende agricole siciliane che producevano quel tipo di prodotto sono in ginocchio.

Il fenomeno è presente da una quindicina di anni a questa parte. Ma si è aggravato negli ultimi tre-quattro anni. Perché negli ultimi tre-quattro anni l’agricoltura siciliana è stata del tutto abbandonata.

Non a caso, quest’anno, abbiamo avuto la rivolta dei ‘Forconi’. Proprio perché sono venuti meno anche quei piccoli interventi che alleviavano i problemi delle aziende agricole ormai in buona parte in fallimento (di affrontare i problemi dell’agricoltura siciliana in termini strutturali non se ne parla nemmeno: questo sarebbe compito di una classe dirigente che in Sicilia non c’è).

Che significa tutto questo? Che un’eventuale uscita dall’euro, da parte dell’Italia, non sarebbe un dramma. Anzi, sarebbe l’occasione per ritornare alle nostre produzioni. La Sicilia (e tutto sommato il resto d’Italia) ha maturato una grande consapevolezza in materia di agricoltura biologica. Un’esperienza messa in crisi dai redditi sempre più bassi degli italiani (e ancora più bassi per ciò che riguarda la Sicilia). E dalla ‘calata’ dei prodotti agricoli di pessima qualità venduti a prezzi stracciati.

Uscendo dall’euro potremmo piano piano ricominciare come ha fatto l’Argentina. Ne guadagnerebbe la nostra agricoltura, che fino a pochi anni fa era una delle migliori del mondo. E ne guadagnerebbe sopratutto la nostra salute e la salute delle generazioni future.

 

 

 


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