Da Acireale Placido Vigo è volato via presto. Poco dopo, la carriera diplomatica l'ha portato in giro per il mondo: da Bonn a Montevideo, da Buenos Aires a Panamá, fino al nuovo incarico a La Paz. Eppure tutte le sue vacanze le ha trascorse sull'isola con cui mantiene uno stretto rapporto. Ai giovani siciliani consiglia: «Bisogna seguire la propria aspirazione, anche affrontando la scelta di lasciare la tranquillità domestica»
Un catanese ambasciatore italiano in Bolivia «Il mio sogno è vivere sempre d’estate»
Il suono del dialetto lo riporta all’infanzia, come «un viaggio nel tempo tra i profumi e i valori antichi della mia famiglia». La Sicilia, vissuta da lontano, «è sempre la Sicilia, che in tutto il mondo affascina per la storia, la tradizione e i valori che rappresenta». Per Placido Vigo è ancora forte il rapporto con la sua terra, nonostante i tanti anni trascorsi fuori e, adesso, il nuovo incarico da ambasciatore d’Italia in Bolivia. Nato ad Acireale nel 1960, ha lasciato presto il Catanese per laurearsi in Scienze politiche all’università Cattolica di Milano. Poco dopo comincia la carriera diplomatica, dalla Farnesina – dove ritorna nel 1996 -, al ruolo di capo della segreteria particolare del ministro degli Esteri. In mezzo, tanti viaggi e diversi mondi: gli incarichi a Tripoli e Bonn, il consolato a Montevideo e Buenos Aires, il ruolo di ambasciatore a Panamá. Fino alla nuova avventura a La Paz, in Bolivia.
Dalla sua biografia si legge che ha lasciato presto Acireale per frequentare l’università a Milano. Ci racconta di quella scelta, oggi ancora così attuale per molti giovani?
«Ho deciso di intraprendere questa professione quando avevo 16 anni, per un caso: un pomeriggio, mentre giocavo in una casa di campagna, raccogliendo il pallone finito dietro la scrivania di mio nonno materno, vidi molti libri di storia. Mi voltai e chiesi a mia nonna come mai ci fossero tutti questi volumi su Bismarck e Cavour. Così scoprii che il nonno, di cui porto il nome, avrebbe voluto essere diplomatico. In quellistante dissi alla nonna che avrei realizzato il suo sogno. Come si potrà immaginare, a quell’età non potevo proprio sapere in che cosa consistesse la carriera diplomatica, ma questo ideale mi guidò da subito e mi permise di affrontare molte difficoltà e, soprattutto, il distacco e la lontananza dalla Sicilia».
Da allora a oggi, la sua vita privata e professionale l’ha portata in diversi Paesi stranieri, con alcune brevi soste in Italia. Qual è stato in tutto questo tempo il suo rapporto con la Sicilia?
«Sono sempre tornato a casa, tranne quando ero alluniversità, perché destate frequentavo dei corsi di lingua straniera. Ma, ogni volta che potevo, tornavo, anche solo per mangiare una granita di caffè».
Da Bonn a Montevideo, da Buenos Aires a Panamá, quanto ha trovato di Sicilia in queste città nella vita quotidiana?
«In America Latina vive una grandissima collettività siciliana, con personalità che hanno saputo conservare e tramandare le proprie origini. Potrei fare tanti esempi, ma mi limito a due. Lex presidente della Federazione dei siciliani in Argentina, don Antonino Casella: una figura storica per tutti i connazionali di Buenos Aires, un uomo nobile che ha saputo creare una rete di solidarietà e di sicilianità che è rara trovare anche a casa. E poi vorrei ricordare un altro uomo straordinario, che purtroppo ci ha lasciato da poco. Don Alberto Materia, unaltra personalità che avrebbe da insegnare a tutti, un siciliano che, a Mar del Plata, non solo ha saputo creare un vero impero ma è riuscito a infondere a tutti i siciliani di quella zona lamore per la nostra isola».
I suoi figli saranno cresciuti come cittadini del mondo. Tiene al fatto che mantengano le loro origini? Come le incoraggia?
«I figli dei diplomatici devono affrontare molti cambiamenti che, a differenza di quanto avviene per quelli dei militari delle forze armate, significano anche Paesi e lingue diverse. Magari con fusi orari che, una volta, non permettevano di mantenere le amicizie come oggi è possibile fare grazie a Internet. Eppure, nonostante queste difficoltà, chi ha la fortuna di studiare con compagni di scuola di tutte le nazionalità ha molte possibilità in più rispetto a chi vive nella tranquilla ordinaria quotidianità. In ogni caso, benché vivessi a Roma, ho fatto nascere i miei figli ad Acireale, e non solo perché mio padre era il dottore Vigo
».
Cosa consiglierebbe ai giovani siciliani: andare o restare?
«Mio padre mi ha insegnato che qualsiasi lavoro fatto con amore ha lo stesso valore. Bisogna seguire la propria aspirazione, anche affrontando la scelta di lasciare la propria tranquillità domestica. Soltanto con il sacrificio e con il lavoro si possono realizzare i propri sogni. Quindi il consiglio che mi sentirei di dare è di seguire il proprio ideale, tenendolo sempre a mente. Solo così si superano le difficoltà e la solitudine, com’è successo a me».
Pensa mai, quando si esauriranno le sue esperienze diplomatiche, di tornare sull’isola?
«Premesso che, da sempre, le mie vacanze le trascorro solo a casa, nel nostro fantastico mare azzurro della costa orientale, mi auguro di vivere il mio futuro sempre destate. Lasciando la Sicilia solo dopo la vendemmia, per vivere ancora destate con mia moglie, che è argentina, fra Buenos Aires e Montevideo».