Beni confiscati, sollecito al sindaco Bianco I cittadini: «Servono regole e trasparenza»

«Ricordiamo al sindaco Enzo Bianco che, in campagna elettorale, si era impegnato pubblicamente con la firma di un documento proposto dal’associazione Libera e nel quale, tra i vari punti, c’erano l’impegno a liberare i beni confiscati alla mafia e ad attuare la trasparenza negli atti pubblici». Due strumenti strettamente collegati tra loro ma per i quali i cittadini attendono ancora una risposta. A ricordarlo questa mattina davanti alla sede del Comune etneo è Giovanni Caruso, tra i fondatori dell’associazione Gapa di San Cristoforo. Una realtà che, insieme ad altre 13 locali, da qualche mese ha chiesto alla giunta di provvedere alla burocrazia necessaria affinché vengano resi disponibili per le associazioni o reti di gruppi tutti gli immobili confiscati alla criminalità organizzata nel Catanese.

Il percorso dei cittadini parte a novembre quando, nella sede del Gapa, si è tenuto un seminario per informare le associazioni e gli enti sociali interessati sulle procedure necessarie per l’affidamento dei beni confiscati alle mafie. Da quel momento ad aderire sono stati una decina di gruppi etnei dai vari interessi, dall’informazione alla cultura, passando per la tutela delle donne e dei minori e non solo: i giornali indipendenti I siciliani giovani, I cordai e Generazione zero; la fondazione Fava; Openmind glbt; centro Koros; Neon Teatro; La città felice; Arci Catania; Manitese Sicilia; associazione Penelope; fondazione La città invisibile; Udi Catania. Il progetto è quello di creare due nuovi spazi sociali aperti a tutti: la Casa dell’informazione libera e di base intitolata al giornalista ucciso dalla mafia Giuseppe Fava e la Casa delle associazioni intitolata a Giambattista Scidà, storico presidente del tribunale dei Minori di Catania scomparso nel 2011.

Da quella prima assemblea nasce un documento di richiesta già inviato alla segreteria del sindaco di rendere trasparenti le procedure di assegnazione dei beni confiscati, i requisiti necessari per accedere ai bandi e l’elenco completo degli immobili disponibili, già assegnati e non. Ma non solo. Alla giunta Bianco viene chiesto anche di approvare e applicare il regolamento già presentato al Comune di Catania dal coordinamento Provinciale Libera Catania. Un passo necessario e già compiuto da numerosi altri Comuni italiani, tra cui la vicina Acireale e «il primo di un percorso che, come promesso dallo stesso Bianco, contrasti il fenomeno dell’illegalità come processo prima ancora culturale che delinquenziale», si legge nel documento. Ma non l’unico aspetto su cui il capoluogo italiano resta indietro. «A Napoli esiste già una Casa per i giornalisti precari  in un immobile sequestrato alla camorra nei Quartieri spagnoli – spiega Caruso – Luigi de Magistris ha battuto Enzo Bianco».

A chiarire i motivi della lentezza burocratica è stato a inizio anno l’assessore alla Trasparenza e legalità Saro D’Agata. In pubblico, ma in un’occasione informale: il ricordo annuale del giornalista Giuseppe Fava, lo scorso 5 gennaio. «Ci disse che erano intenzionati come commissione Pace ad assumere il regolamento depositato da Libera ma che poi sarebbero serviti lunghi passaggi in giunta e in consiglio comunale – continua Caruso – Ci ha spiegato inoltre che i 27 beni che risultano da una lista pubblica sono tutti già assegnati e che gli altri non sono ancora nella disponibilità del Comune». L’ente ne attende il passaggio dall’agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie. «Un ufficio con solo una trentina di dipendenti e un’enorme mole di lavoro», commenta.

Una promessa verbale, quella dell’assessore D’Agata, che alle associazioni non basta. «In un mese non hanno fatto niente e non ci hanno ancora risposto – continua il fondatore del Gapa – La nostra è una richiesta di volontà politica, al di là dei tecnicismi burocratici. Noi vogliamo che il Comune di Catania faccia pressione sull’agenzia nazionale per entrare nella piena disponibilità del beni confiscati». E poi li assegni con bandi trasparenti, secondo il regolamento ancora da approvare. «Senza considerare gli eventuali problemi successivi – conclude Caruso – Lo stato dei beni, che cadono a pezzi, e l’impossibilità di ottenere un finanziamento dalle banche».


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