Un anno fa l’omicidio di Michele Brandimarte I dubbi e il legame tra Vittoria e la ‘ndrangheta

Esattamente un anno fa, a Vittoria, hanno sparato sette colpi di pistola a Michele Brandimarte. L’uomo era un affiliato di una ‘ndrina calabrese, pluripregiudicato legato al clan che controlla Gioia Tauro, il suo porto e i traffici collegati di stupefacenti e armi. È stato ucciso alle sei del pomeriggio, con le strade piene dei passanti della domenica, in un angolo non lontano dalla via principale mentre stava tranquillamente passeggiando. Cinque ore dopo Domenico Italiano si è presentato nel commissariato di Gioia Tauro. Ha confessato l’omicidio e ha consegnato la pistola con cui avrebbe commesso il delitto. Il movente del giovane, autore in passato del solo reato di stalking, sarebbe stato la degenerazione di una discussione.

Secondo la ricostruzione della presunta confessione, Italiano e Brandimarte, entrambi calabresi a Vittoria, stanno parlando. Non da soli, riportano le prime testimonianze: sarebbero in quattro sulla strada. Così sarebbe dimostrato anche dalle telecamere di sorveglianza degli esercizi commerciali vicini. La conversazione assume un tono che Italiano non tollera, quindi estrae la pistola ed esplode sette colpi calibro nove da pochi metri e si dà alla fuga, percorrendo i 250 chilometri che separano la città del Ragusano da Gioia Tauro. Nonostante la presunta confessione, le indagini sono ancora in corso e chi conduce l’inchiesta si trincera nel silenzio.

E alcune domande, a un anno di distanza da un delitto dai contorni anomali, rimangono ancora senza risposta. Innanzitutto sembra lecito chiedere se la confessione di Italiano è da considerare attendibile, considerato che questo avrebbe ucciso un uomo dello spessore criminale di Brandimarte solo per divergenza di opinioni. O le motivazioni del delitto sono altre? Le prime ipotesi si erano mosse in altra direzione. Negli ultimi anni la famiglia Brandimarte era giunta allo scontro con i Priolo, in una faida intestina al clan Piromalli-Molé. In un primo momento era sembrato possibile ritenere Domenico Italiano un sicario assoldato per l’ennesimo attentato. Ma gli inquirenti hanno smentito. E in ogni caso perché consumare l’agguato lontano dalla Calabria?

Gli interrogativi (irrisolti) continuano: quali motivazioni spingevano un personaggio legato alla criminalità organizzata calabrese come Michele Brandimarte a Vittoria? La famiglia della vittima, come dimostrato dall’operazione Puerto Liberado, controllava il traffico delle merci dal porto di Gioia Tauro, considerata la frontiera meridionale d’Europa per l’ingresso di stupefacenti dal Sud America. I fratelli di Michele Brandimarte, Giuseppe e Alfonso, sono stati recentemente condannati a venti anni di reclusione. Da Vittoria e dal suo mercato ortofrutticolo partono quotidianamente mezzi di trasporto su gomma, che esportano le primizie in tutto il continente. Tale consistente volume di traffico merci, attraverso le infrastrutture stradali, è difficilmente controllabile. Inoltre la città ipparina, come dimostrano le operazioni delle forze dell’ordine, è importante piazza del mercato di droga. Le merci in movimento, secondo le leggi della logistica, hanno bisogno di reti di trasporto integrate: ad esempio passano dai container delle navi ai piani di carico degli autoarticolati. Così succede per i prodotti dell’economia legale e illegale. È questa una possibile relazione? È lecito pensare che Michele Brandimarte fosse qui per discutere di affari?

La tesi è rafforzata da un’ulteriore operazione condotta alla fine di settembre dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma. L’indagine si concentrava sull’asse Reggio Calabria-Roma, ma l’azione delle forze dell’ordine ha avuto conseguenze anche a Vittoria, con l’arresto di Giovanni Cilia (già condannato per mafia) e dei suoi due figli. I tre, secondo le indagini, erano coinvolti in un traffico internazionale di cocaina. La droga veniva nascosta all’interno degli automezzi che trasportavano i fiori commercializzati dalla MaxFlora, la società di proprietà della famiglia Cilia. La complessa rete di traffico era organizzata da membri della famiglia Crupi, potente clan della Locride. Come annunciato dagli stessi inquirenti, l’operazione gettava «nuova luce» sul caso dell’omicidio di Michele Brandimarte, nonostante le ‘ndrine agiscano in forte autonomia territoriale tra loro.

Altro passaggio cruciale è capire se sia stata la prima visita in città o solo l’ultima di una lunga serie, se Brandimarte era già riuscito a costruire una rete di relazioni nel territorio o se questo fosse ancora solo un progetto. Quindi, cominciare a interrogarsi su chi ha incontrato Michele Brandimarte il pomeriggio del 14 dicembre 2014. Sempre gli investigatori hanno fornito delle parziali risposte: uno dei presunti quattro uomini a colloquio, esclusi la vittima e il presunto assassino, sarebbe stato Claudio Cicciarella. Vittoriese, pregiudicato per mafia, gestore di una sala giochi immediatamente di fronte al luogo dell’omicidio, è stato arrestato per possesso e spaccio di cocaina il primo novembre. Il legame tra Cicciarella e le organizzazioni criminali ‘ndranghetiste potrebbe risiedere nel lucroso settore economico delle scommesse e del gioco d’azzardo. Durante l’estate infatti la procura di Reggio Calabria ha scoperto un imponente traffico di affari con Malta, paradiso fiscale del gaming on-line; le organizzazioni criminali, attraverso le scommesse, hanno trovato la possibilità di riciclare ingenti quantità di denaro. A Vittoria le sale per scommettitori sono diverse decine, aprono (e chiudono) con rapidità, e al loro interno vengono puntati centinaia di migliaia di euro ogni settimana.


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