L'acquisto di uno xilofono giocattolo rivestito di principesse Disney ha fatto storcere il naso ad amici e parenti. Ma non al destinatario del regalo: un bimbo di 16 mesi «che lo ha subito adorato», nonostante fosse «un gioco per femmine». «Parte tutto da lì - scrive una mamma - da ogni piccola differenza che si inculca»
Violenza sulle donne, cosa insegnerò a mio figlio «Spero che tra 20 anni questo ti sembri assurdo»
Oggi è la giornata contro la violenza sulle donne e qualcuno mi ha chiesto se come mamma, e in particolare mamma di un maschio, tengo conto della questione della parità di genere nell’educarlo e crescerlo. La risposta è che sarei folle e fuori dal mondo se non la tenessi presente. E certamente sarei anche colpevole. Perché se una donna su tre subisce violenza nel corso della vita e in Italia solo nell’anno che sta finendo sono morte 116 donne per mano di mariti, parenti, fidanzati ed ex compagni, è un problema culturale e sociale. E la cultura e la società si cambiano solo con l’educazione di chi domani metterà in pratica la prima facendo parte della seconda.
Sono convinta che gli uomini non abbiano il gene della follia e non diventino pazzi per colpa di quello che mangiano o dello smog. Credo che gli assassini delle donne siano frutto di una cultura millenaria che ha portato alla convinzione che ci sia un genere più forte e uno più debole, uno più libero e l’altro sottomesso, uno che possiede e l’altro posseduto. Una cultura così radicata che quasi non ci accorgiamo di metterla in pratica e trasmetterla anche negli aspetti più banali e apparentemente senza alcun peso. Insomma, se uno pensa che il rosa sia un colore più adatto alle femminucce e l’azzurro ai maschietti, che male fa? Non sarà mica questo a far diventare un bambino un maschio adulto che finisce per strangolare chi dice di amare.
Siamo talmente abituati a fare differenza tra maschi e femmine, a partire dagli stupidi colori, che non ci accorgiamo neanche del danno che possiamo fare
Sarò esagerata, ma per me invece parte tutto da lì, da ogni piccola differenza che si inculca, senza alcun senso, ai nostri figli già col primo vestitino. Così, sono mamma di un maschio che ha appena 16 mesi e sono già 16 mesi che cerco di insegnargli che siamo tutti uguali e con gli stessi diritti, doveri e possibilità: neri, bianchi e gialli, gay e etero, uomini e donne. E mentre per il colore della pelle e l’orientamento sessuale ero preparata, per l’uguaglianza tra maschi e femmine mi ritrovo a dovermi sforzare e a fare molta più attenzione. A combattere contro i «Sei maschio, non si piange», «Non fare la femminuccia», «Il bambolotto no, devi giocare con la tua macchinina». Che sono dappertutto e sulla bocca di chiunque, da quella dei nonni a quella degli amici più cari.
L’altro giorno volevo comprare uno strumento musicale giocattolo, ché mio figlio è in piena fase Riccardo Muti, e l’unico che effettivamente emetteva dei suoni veri era uno xilofono con annesso tamburo di Frozen, azzurro evidentemente solo per uno strano scherzo del destino. L’ho comprato senza pensarci troppo, perché l’importante era che suonasse e mio figlio lo ha subito adorato. Ma una volta a casa tutti hanno notato «che era un gioco per femmine». Anche l’amica/mamma che sembra farsi meno problemi, quella che «il bambino mangia la pasta direttamente dal pavimento, va be’, tutti anticorpi», ha mostrato il suo disappunto. Ho risposto che gay si nasce, non lo si diventa perché da piccolo hai preso a colpi di bacchetta un tamburo rivestito con principesse Disney, ma non li ho convinti.
Ad ogni modo non mi ha dato fastidio. Mi danno fastidio le donne che mi dicono che sono fortunata ad essere mamma di un maschio «perché le femmine danno più problemi, si deve stare più attenti, diventano civette, entrano in competizione». Trovo assurdo che ci siano donne non felici di dare al mondo altre donne, e tutte le volte non riesco a credere alle mie orecchie. Neanche fossimo ancora al tempo della dote, quando le figlie femmine erano un peso ed era meglio buttarle dalla rupe appena nate. Mi danno fastidio i papà di figlie femmine che dicono a mio figlio, che ancora non sa pronunciare neanche tutte le lettere dell’alfabeto, che «per ora possono giocare insieme, ma tra qualche anno te lo scordi, mia figlia non avrà amici maschi, non uscirà fino ai 30 anni». Tutte le volte spero sempre che sia uno scherzo.
Ma poi è tutte le volte lo stesso scherzo e il dubbio si fa più forte. E non sto dicendo che sono persone orribili che faranno crescere maschi assassini e femmine con l’attrazione fatale per gli stalker. So per certo che alcuni di loro sono migliori di me in molte cose, ma non capisco come possano davvero credere che le paure di una mamma per un figlio possano differenziarsi in base al sesso o pensare ancora che una bambina debba essere preservata e protetta dal poter diventare una «donna facile», terrore di ogni papà, e invece il figlio maschio è «libero di fare ciò che vuole». Non capisco come possano alimentare tutti gli stereotipi più sbagliati che rendono gli uomini e le donne diversi e come possano non accorgersi di farlo. Proprio oggi, proprio di questi tempi, proprio quando ogni giorno si parla di una donna uccisa per mano di un uomo.
E poi insegnerò a mio figlio che le persone non si possiedono, che bisogna rispettare la loro volontà, la loro libertà, che sempre, ma a maggior ragione se le ami, devi lasciarle decidere e, quando succede, anche andare
Siamo talmente abituati a fare differenza tra maschi e femmine, a partire dagli stupidi colori, che non ci accorgiamo neanche del danno che possiamo fare. Quindi come donna e genitore cerco di insegnare a mio figlio il rispetto per gli altri in generale, senza fare distinzioni, perché farle è sbagliato in quanto crea la categoria del più forte e quella del più debole, che è uno dei punti principali di questa malattia sociale. Come mamma di un maschio educo mio figlio esattamente come farei con una bambina. Per dirne una: farà le faccende di casa, come fa il suo papà, perché è sbagliato che nel 2016 la suddetta attività sia ancora considerata come prettamente femminile e che un uomo che la pratica sia visto come un santo o un extraterrestre. E se un giorno avrò una bambina, avrà le stesse libertà di suo fratello, ché tanto mio figlio non potrà fare semplicemente quello che gli pare perché tanto è maschio e non ci sono problemi.
E poi insegnerò a mio figlio che le persone non si possiedono, che bisogna rispettare la loro volontà, la loro libertà, che sempre, ma a maggior ragione se le ami, devi lasciarle decidere e, quando succede, anche andare. Nella speranza di tenerlo lontano dal sistema di valori, che non dovrei chiamare neanche così, assolutamente sballato che è alla base del femminicidio. Ci proverò con le parole, le spiegazioni, ma soprattutto con quello che conta davvero: l’esempio. Perché è ciò in si cui crede, quello che si pratica e che si dice senza accorgersene, che si insegna ai figli. Loro ci guardano agire ogni giorno e, dalla piccola alla grande cosa, ciò che gli rimane di più nella mente è come ci comportiamo. Quindi spero che per mio figlio l’esempio del suo papà sarà quello da cui prenderà lezioni e apprenderà: una brava persona, un bravo uomo che rispetta le persone in generale e quindi le donne, che rispetta e tratta da pari la sua mamma, senza che questa sia una cosa speciale.
Non so se riuscirò a crescere una brava persona, un bravo uomo: quello del genitore è il mestiere più terrificante, bello e difficile del mondo, e la scommessa più grande della mia vita. Lo spero, come spero che, se fra vent’anni mio figlio leggerà quello che ho scritto, lo trovi anacronistico e assurdo.