Un luogo dove ricordare tutti quelli che hanno pagato con la vita la ricerca di un futuro migliore, i cui corpi sono però sepolti in giro per tutta la Sicilia. È l'idea lanciata dall'associazione catanese e subito rilanciata dal giornalista Fabrizio Gatti. «Far sorgere un cimitero che li custodisca serve per fare memoria, è un monito», afferma con decisione Elena Fava. Un messaggio che assume un significato più profondo se il luogo scelto è stato sottratto a Cosa nostra
Un cimitero del mare in un bene confiscato Migranti, la proposta della fondazione Fava
Un unico cimitero nel quale riunire le vittime del mare, un numero imprecisato di migranti morti in traversate drammatiche e sepolti in giro per la Sicilia. Un luogo nel quale poter ricordare chi non c’è più e che assume un valore ben preciso se sorge su un terreno confiscato alla mafia. È la proposta lanciata dalla fondazione Giuseppe Fava, associazione dedicata al giornalista catanese ucciso da Cosa nostra nel gennaio 1984. «L’idea è nata guardando quelle 366 bare allineate, soprattutto quelle bianche – racconta Elena Fava, vicepresidente della fondazione – Ho provato una profonda rabbia».
Una tragedia che per giorni ha occupato le prime pagine dei media di tutto il mondo, ma che con il passare del tempo rischia di essere dimenticata come tante altre. «Una forma di rimozione del dramma cui assistiamo quasi quotidianamente – scrivono nell’appello i membri della fondazione – Un pezzo di terra senza nome, come senza nome restano alcune migliaia di esseri umani annegati in quello che avremmo voluto un mare di pace, per chiudere una storia che non conosciamo e solo immaginiamo dalle foto e dai documenti che il mare ci restituisce». «Far sorgere un cimitero che li custodisca serve per fare memoria, è un monito – afferma con decisione Fava – Se poi viene realizzato su un terreno sottratto alla mafia, ha un significato più profondo».
L’iniziativa – ideata assieme a Maria Teresa Ciancio, presidente della fondazione – «è stata subito raccolta dal giornalista Fabrizio Gatti» che ha rilanciato la proposta attraverso il suo blog su L’Espresso. «A queste migliaia di migranti, morti durante il viaggio verso il loro e il nostro futuro, lItalia, lEuropa non hanno dedicato un solo altare, se escludiamo i piccoli monumenti disseminati qua e là – ha scritto l’autore di inchieste – Impensabile raccoglierli tutti nel piccolo cimitero di Lampedusa». Un’angoscia anche per i parenti che, al dolore per la perdita di chi hanno amato, non sanno dove riposano i propri cari. Come ha raccontato a CTzen Alex Beraki, italo-eritreo di seconda generazione che ha accompagnato molti parenti delle vittime impegnati nella straziante ricerca. «La memoria, il ricordo, sono fondamentali. Vorremmo riunire tutte queste salme in modo che chiunque possa portare loro un fiore», prosegue Elena Fava.
La proposta adesso deve passare alla sua fase attuativa. «Sarà difficile, anche per i tempi legati alla consegna dei beni confiscati alla mafia», ammette la vicepresidente della fondazione. Oltre alla diffusione online dell’idea, «dobbiamo trovare i giusti interlocutori. Sabato scorso abbiamo consegnato una lettera alla presidente della Camera Laura Boldrini», così come una copia è stata inviata a tutte le prefetture dell’isola. «Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che adesso dobbiamo occuparci dei vivi – conclude la figlia del giornalista siciliano – Ma non possiamo rimanere indifferenti davanti a quelli che hanno perso la vita».