Uno studente della facoltà di Giurisprudenza ci scrive per esprimere i suoi dubbi sui criteri con cui sono stati nominati i due rappresentanti degli studenti: «La scelta di coloro che scriveranno le regole fondamentali è troppo importante per strapparla ad un sereno e democratico dibattito»
Ubi Maior, minor cessat
Mi rivolgo alla vostra redazione per esprimere un pensiero circa gli ultimi accadimenti che hanno coinvolto la comunità studentesca dell’ateneo di Catania, nonché il suo Magnifico Rettore: in merito alla revisione dello statuto d’ateneo mediante l’istituzione di una commissione preposta e regolata dalla legge 240/10 meglio nota come Legge “Gelmini”. Mi rendo conto che alla luce dei risvolti di questa vicenda, parecchio infelice dal punto di vista partecipativo e democratico, il parere di uno studente, singolo, possa annichilirsi nell’oceano di punti di vista e prese di posizioni varie di questi giorni. Tuttavia, di fronte all’escalation di eventi che si apprendono dai giornali, è difficile rimanere impassibili e indifferenti.
Lo Statuto rappresenta per la nostra Comunità studentesca, una vera e propria Legge Fondamentale, una costituzione. Esso non si limita a stabilire e regolare gli enti sotto-ordinati, ma indica le funzioni e soprattutto i limiti strutturali entro i quali nasce la sinergia dal binomio gestione pubblica funzionalizzata-partecipazione democratica a tale gestione. A fronte di tutto ciò, su cui nessuno obietterebbe alcunché, appare poco sensato che una commissione di 15 membri possa riformare o arrivare a stravolgere lo Statuto d’Ateneo. In effetti la polemica dovrebbe riguardare l’impostazione legale della norma che prevede un organo siffatto. Tuttavia che la legge Gelmini sia piena di “criticità”, non lo dico io ma il Capo dello Stato, che lo ha precisato in più di un’occasione. Quindi, ammessa e non concessa la legalità della “Commissione dei quindici”, ciò che colpisce maggiormente è il ruolo della componente studentesca: a dir poco irrilevante.
Ribadiamolo ancora, l’impianto legale è quello, ergo occorre squarciare il velo di polemiche ed andare avanti. Spingiamoci dunque nel sentiero della legalità di una partecipazione così irrilevante, per di più nel caso di una componente che costituisce la maggioranza della popolazione universitaria, a questo punto appare faticoso giustificare che il criterio per la scelta dei due studenti rappresentanti possa essere quello di una mera e soggettiva nomina. Laddove per altro, come dicevano i romani, “Ubi Maior, minor cessat”, è notizia di questi giorni che il rettore abbia scelto proprio gli studenti eletti al CNSU; dunque, stando alla logica del Rettore, coloro che godono della maggior quantitativo di consensi in valore assoluto.
Posto, a tal proposito, che comunque nell’ambito del nostro ateneo questi studenti hanno ricevuto un numero di consensi non troppo differente rispetto alla media di quelli ricevuti dagli altri eletti negli Organi Superiori d’Ateneo (Senato Accemico, Cda E.r.s.u etc..), siamo davvero sicuri che il criterio di scelta numerico elettorale sia quello più coerente? Consideriamo per assurdo che così fosse: se indicessimo elezioni studentesche per due seggi, non sarebbe forse vero che i due studenti a quel punto eletti avrebbero molti più voti e molta più rappresentanza numerica di quelli eletti al CNSU in un contesto politico ed elettorale differente come quello attuale?
Ad una lettura più coerente – ribadisco, condivisibile o meno ma più rispondente al disegno del legislatore – la scelta andava organizzata su un criterio di eccellenza qualitativa dello studente designato. A mio modesto avviso, indipendentemente dalla reale rappresentanza elettorale, posto che la legge preveda una commissione così stringente da un punto di vista numerico, sarebbe stato opportuno selezionare queigli studenti, magari nell’ambito di una graduatoria meritocratica stilata sulla base di un concorso interno, i quali scevri da condizionamenti politici abbastanza lampanti, si concentrassero sulla concreta traduzione della riforma “Gelmini” nelle norme di un nuovo statuto per il nostro Ateneo.
Sono convinto ed abbastanza certo che la scelta di coloro che scriveranno le regole fondamentali della nostra comune convivenza all’interno della comunità – ciascuno di noi condivide con i propri colleghi anche giornate intere – è troppo importante per strapparla ad un sereno e democratico dibattito. Da cosa dipende questa fretta nell’attuazione di una riforma entrata in vigore appena un mese fa? E’ opportuno o comunque ragionevole che gli appelli di studenti rappresentanti, di autorevoli docenti e presidi vengano abbandonati nell’oblio di scelte autonome e soggettive del rettore? E’ lecito che vengano violate, come risulta dalla nota congiunta di alcuni Presidi qualche giorno fa, persino le norme procedurali previste dai regolamenti degli Organi democratici pur di ottenere un risultato come questo? A chi giova poi? Ovviamente solo ai posteri è data, come sempre, l’ardua sentenza.