Truffa Ue, fatture gonfiate per motore a olio vegetale «Per il prototipo 80 mila euro, ma spesi solo la metà»

Stando al progetto iniziale, doveva essere il prototipo di un motore sperimentale alimentato da fonti biodegradabili. Seppure al momento non è dato sapere se sia in grado di funzionare o meno, secondo i finanzieri, i costi sostenuti per la realizzazione sarebbero stati gonfiati all’inverosimile. Per il prototipo che risponde a un bando della Regione, infatti, sono state presentate fatture per un valore di 80 mila euro: peccato che secondo gli inquirenti di soldi ne sarebbero stati impegnati «poco meno della metà». E questa è solo la punta dell’iceberg dell’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza che ieri ha portato al sequestro di beni per 450 mila euro e la denuncia di 22 persone. All’origine, per gli inquirenti, un giro di false fatturazioni e budget truccati per una frode finalizzata all’ottenimento di finanziamenti concessi dall’assessorato delle Risorse agricole e alimentari della Regione siciliana.

A scoprire la presunta truffa, avviata nel 2009 con la presentazione due progetti e conclusa nel 2014, le fiamme gialle che, coordinate dalla Procura di Palermo, hanno eseguito il sequestro nei confronti del Consorzio Agrario di Palermo S.c.a.r.l., nonché del suo ex rappresentante legale G.T., e di una galassia di società e persone fisiche. Cuore dell’operazione due progetti: A.sa.si, per la produzione di un Aceto salutistico siciliano che anziché essere prodotto veniva acquistato praticamente già pronto. E Andromeda, un prototipo sperimentale destinato alla produzione di energia elettrica e termica mediante un cogeneratore diesel, da alimentare attraverso olio vegetale puro. Il valore complessivo delle iniziative ammonta a 1 milione e 673 mila, a valere sul Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, sul bilancio nazionale e sul bilancio regionale siciliano.

Ma come hanno messo in luce gli inquirenti, praticamente ogni spesa, da quella del personale alla promozione degli eventi, sarebbero state soggette a un lifting, gonfiate ad arte per ottenere un illecito guadagno. Come nel caso della realizzazione del prototipo, affidato a una delle 11 società coinvolte nelle indagini. In questo caso, la ditta incaricata avrebbe dovuto provvedere alla realizzazione della macchina nel cui costo era compreso sia l’acquisto del materiale sia la manodopera impiegata per la sua costruzione. Alla luce di quanto emerso dalle indagini, tuttavia, sarebberp state spesi soltanto 38.783 mila euro a fronte di 80 mila dichiarati. 

La differenza, emerge dalle carte, è dovuta al fatto che «la società si è limitata ad acquistare il materiale necessario alla realizzazione dell’impianto non sostenendo invece, alcun costo per tecnici e il personale impiegato per la realizzazione stessa». Tali costi, non solo «risultano essere stati spalmati fraudolentemente su altre voci di spesa, ma sarebbero stati sostenuti da altri partner del progetto. Ne consegue che buona parte delle fatture emesse dalla società «sono da ritenere oggettivamente false, in quanto è stato accertato non esserci alcuna corrispondenza fra quando documentato e quando effettivamente fornito». Tutto ciò, quindi, avrebbe consentito «il conseguimento ingiusto di un profitto di 41.216 mila euro».

Ciò che colpisce è che dall’inizio dell’operazione, fino alla sua conclusione quattro anni dopo, nessuno si sia mai accorto di nulla. Probabilmente qualcosa, nella catena di controllo, si è inceppata: un corto circuito in parte comprensibile con il coinvolgimento, per gli investigatori,  di un pubblico ufficiale. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, infatti, il funzionario incaricato del controllo della rendicontazione per i due progetti, avrebbe autorizzato «dolosamente, in assenza di requisiti, la liquidazione dei partner».


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