In Sicilia meno treni e più vecchi. Legambiente: «Servono collegamenti più veloci e frequenti»

Sul trasporto ferroviario «persistono le differenze nelle aree del Paese, e a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno, dove circolano meno treni, sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma più elevato degli 11,9 di quelli del Nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate». Lo denuncia Legambiente nel rapporto Pendolaria 2023. «Le corse dei treni regionali in Sicilia sono ogni giorno 506 contro le 2173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani. Emblematico è che tra Napoli e Bari non esistano treni diretti».

La cura per il sud indicata da Legambiente si traduce con «più treni per il Meridione, elettrificazione e collegamenti più veloci potenziando in primis il servizio Intercity e integrando l’offerta di servizio lungo le direttrici principali, per garantire almeno un treno ogni ora, attraverso un servizio cadenzato e nuovo materiale rotabile». Emblematico, rileva Legambiente, «è che tra Napoli e Bari non esistano, ancora oggi, treni diretti o che esistano situazioni come quella della linea Palermo-Trapani, via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone- Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) e della tratta Corato-Andria in Puglia (ancora inattiva dopo sei anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti). Per Legambiente gli assi prioritari su cui intervenire sono: Napoli-Reggio Calabria, Taranto-Reggio Calabria, Salerno-Taranto, Napoli-Bari, Palermo-Messina-Catania. Servono poi collegamenti veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola e va potenziato il trasporto via nave.

«Il processo di riconversione dei trasporti – spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – è fondamentale. Lo è se vogliamo rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, del taglio delle emissioni del 55 per cento entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050, visto che il settore è responsabile di oltre un quarto delle emissioni italiane che, in valore assoluto, sono addirittura cresciute rispetto al 1990. Per questo – osserva Ciafani – è fondamentale invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per la cura del ferro del nostro Paese, smettendola di rincorrere inutili opere come il Ponte sullo Stretto di Messina». 


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