Toni Servillo: «Il mio teatro è Napoli»

La pioggia battente non ha dato tregua per un attimo, mercoledì mattina. E può essere questa la ragione per la quale il Coro di Notte dell’Ex Monastero dei Benedettini di Catania era semideserto, nonostante la presenza di uno dei più celebrati attori italiani dell’ultimo periodo. Consacrato con “Gomorra” e “Il Divo”, Toni Servillo è diventato un punto di riferimento internazionale per il nostro cinema. Ma il temporale non ha risparmiato nemmeno lui.

Attore e regista de “La trilogia della villeggiatura” di Carlo Goldoni. Perché proprio Goldoni? Come mai ha scelto di passare dalla tradizione napoletana, quella di De Filippo, a quella veneziana e, soprattutto, in termini di interpretazione comica, quali sono le difficoltà nel passare dall’uno all’altro testo?
«Io sono passato da Eduardo a Goldoni semplicemente perché i due spettacoli si seguono in ordine temporale, ma prima di Eduardo ho messo in scena tanto teatro, del Seicento e del Settecento francese, Molière e Marivaux. Marivaux, tra l’altro, è un autore molto vicino a Goldoni. La continuità tra Eduardo e Goldoni, secondo me, sta nel fatto che entrambi guardano in maniera lucida e spietata, senza concederle nulla, la classe media italiana, la borghesia, che ha tanta responsabilità sul destino sociale e politico del Paese. Inoltre, tutt’e due hanno un italiano bellissimo, tanto più bello perché sporcato dai rispettivi dialetti, che hanno alle spalle una tradizione teatrale nobilissima».

Le facciamo la stessa domanda fatta al nostro Luigi Lo Cascio un mese fa: lei è attore e regista, come gestisce questa dicotomia?
«Dico spesso che mi considero fondamentalmente un attore che fa le regie dei suoi spettacoli, così come un primo violino orchestra in una partitura di una sezione d’archi».

E si sente mai contento di sè come attore, quando di uno spettacolo è anche il regista?

«Assolutamente no, sarei uno stupido. Ogni sera, quando si va in scena, è un’avventura nuova, è una scommessa. Bisogna fare in modo che il pubblico torni a casa contento, rilassato, divertito, che pensi, rifletta. No, non conosco la dimensione dell’accontentarsi, per fortuna».

Ha lavorato con Mario Martone e Paolo Sorrentino, entrambi campani come lei. Quanto ha contato il vostro comune background socio-culturale nel rapportarsi a loro?
«Inutile dire che Napoli è una città che nutre le arti dello spettacolo da secoli, e quindi, per chi la sa cogliere, ha una tradizione nobilissima, importante e forte: nella musica, nella letteratura, nella filosofia… Naturalmente, è una fonte a cui attingere. E’ una città che dà tanto anche per certi aspetti urbanistici, sembra un teatro a cielo aperto e offre improvvise sorprese, continuamente».

Ne “Il Divo” lei ha interpretato Giulio Andreotti. Una domanda politica, in questo momento, è d’obbligo. Cosa pensa della rivalutazione di certi personaggi politici controversi? Il riferimento, è chiaro, è a Craxi…
«Ne penso molto male. Penso che si tende, come al solito in questo Paese, a guardare acriticamente al passato e a far finta che nulla sia accaduto, che non ci siano responsabilità. E quando non ci sono responsabilità non ci sono neanche testimonianze da lasciare ai giovani, non ci sono esempi. Non posso non pensarne molto male».

“Il Divo” e “Gomorra”, con i loro straordinari successi, hanno fatto sì che la conoscessero pure all’estero. Sarebbe attratto dalla possibilità di lavorare oltreoceano?
«Sì, certo, perché no? Non mi è ancora capitato. Proprio quest’anno, però, ho girato un film in Francia, completamente francese, e un film in Germania, inoltre l’impegno in teatro mi ha portato in diverse nazioni. Insomma è stato un anno completamente “europeo”».

Con chi le piacerebbe lavorare, o chi è stato il collega, regista o attore, col quale s’è trovato meglio? E quali sono i suoi progetti per il futuro?

«Be’, ho scelto, con molta accortezza, di lavorare con registi con cui io condivido un orizzonte, un profilo culturale, quindi mi sono trovato bene con tutti. Per quanto riguarda il futuro, sto preparando uno spettacolo su un testo inedito di Franco Marcoaldi e musiche di Giorgio Battistelli, che debutterà l’11 settembre al Festival Musicale di Ravello ed è un’operazione a metà tra la musica e il teatro».

 
 

(Intervista in collaborazione con Luca Di Francesco)


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