Statuto siciliano, Costa: il governo di Monti è sordo ma la Sicilia può applicarlo

“Esprimo la mia solidarietà con quanto riportato nell’articolo”. Massimo Costa, docente di Economia Aziendale all’Università di Palermo, profondo conoscitore della storia dell’autonomia siciliana e degli aspetti tecnico-giuridici dello Statuto e autore, tra le altre cose, del manifesto del popolo siciliano interviene nel dibattitto che questo giornale sta cercando di alimentare in merito all’articolo 37 dello Statuto e alla sua mancata attuazione.

Nell’articolo pubblicato stamattina, ancora una volta, ci chiediamo cosa stia aspettando la Sicilia ad applicarlo unilateralmente, ed affrontare ex post la riluttanza dello Stato (che mai lo applicherà spontaneamente). Costa interviene in un commento (che noi riportiamo per intero in questo articolo) criticando le risposte che il governo Monti sta dando alla Sicilia in merito all’applicazione dello Statuto. Ecco il suo pensiero:
“La risposta che Monti ha affidata al sottosegretario alle politiche agricole è inaccettabile e anche un po’ dileggiatoria. Secondo il Governo il gettito è sui 100 milioni l’anno, quando qualche anno fa loro stessi parlavano di 400 milioni. E invece la generale imposizione in Sicilia dei redditi ivi maturati vale non meno di 4 miliardi l’anno, mentre per l’IVA siamo sui 2 miliardi circa. Aggiungete qualcosa sui tributi minori e capirete perché da questo orecchio il governo non vuole sentire. Il punto è che quei soldi non sono trasferimenti italiani alla Sicilia, sono soldi nostri e basta.
Il governo però è caduto in una trappola. Ha risposto, con il sottosegretario tal dei tali, che se la Sicilia si farà carico di spese corrispondenti, lo Stato sarà ben lieto di applicare l’art. 37. Ebbene, se dicono che si tratta soltanto di 100 milioni, allora basta accettare una fettina di spesa sanitaria in più a carico nostro. Ovvero fare una proposta seria: la Sicilia, come prevede l’art. 37 si accolla il costo dell’Agenzia delle Entrate in Sicilia, e quindi si accolla ben più dei cento milioni di cui parla il sottosegretario.
Poi, con l’agenzia delle entrate e la guardia di finanza in mano nostra, accertiamo e incassiamo i 7/8 miliardi che ci spettano. Con la forza. E poi si vede che fa il governo. Se protesta, gli diciamo che con quei soldi ci facciamo carico di scuola (meno di 3 miliardi), enti locali (altrettanti), università (mezzo miliardo). Cioè tutto.
Poi gli diciamo che vogliamo farci carico anche della mezza sanità che oggi arriva da Roma, e delle residue funzioni statali (polizia inclusa) tranne gli esteri, la difesa e le altre funzioni sovrane indelegabili. A quel punto, non per lo Statuto, ma per il 119 della Costituzione, ci tocca una compartecipazione ai tributi erariali (essenzialmente, in Sicilia, le sole accise) che ci consenta di svolgere anche queste funzione.
E si scopre che la Sicilia,a statuto applicato, è finanziariamente autosufficiente., altro che Grecia. Poi c’è il capitolo su come questi soldi vengono usati. Ma qui apriamo una vertenza interna. Non possiamo dare più la colpa a Roma. Ma per ora no. Perché le carte che dà Roma sono truccate e la Sicilia, povera, finanzia il Continente. E questo scandalo dovrà pur finire.
P.S. Con la devoluzione di quota delle accise, il gettito sarebbe talmente tanto che potremmo abbassare anche il costo degli idrocarburl. Perché questo privilegio? Perché un paio di miliardi allo Stato per difesa, esteri, quirinale etc. bastano e avanzano. Per il resto possiamo fare benissimo da soli. E goderci i vantaggi di essere un paese esportatore di energia”.

Redazione

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