C'è una sentenza della corte costituzionale nella quale lo stato italiano, attraverso la sua avvocatura, sembra 'aprire' leggermente alle rivendicazioni della sicilia inerenti l'attuazione del suo statuto speciale. E in particolare dell'alta corte. Si tratta della sentenza 64/2012, depositata il 21 marzo scorso. A prima vista è la solita mazzata che la suprema corte e l'avvocatura dello stato riservano alla sicilia, ogni qual volta osa chiedere il rispetto dell'autonomia della regione. Soprattutto quando si tratta di risorse sottratte alla regione.
Statuto, la Stato apre alla Sicilia?
C’è una sentenza della Corte Costituzionale nella quale lo Stato italiano, attraverso la sua Avvocatura, sembra ‘aprire’ leggermente alle rivendicazioni della Sicilia inerenti l’attuazione del suo Statuto speciale. E in particolare dell’Alta Corte. Si tratta della sentenza 64/2012, depositata il 21 marzo scorso. A prima vista è la solita mazzata che la Suprema Corte e l’Avvocatura dello Stato riservano alla Sicilia, ogni qual volta osa chiedere il rispetto dell’Autonomia della regione. Soprattutto quando si tratta di risorse sottratte alla regione.
E, in effetti, qualche mazzata c’è. E c’è pure una tirata d’orecchie ai giuristi siciliani, che secondo l’Avvocatura dello Stato, come riportano i giudici nella sentenza, nel caso del ricorso in questione, avrebbero dovuto contestare la violazione dell’articolo 43 dello Statuto e non dell’articolo 37. Ma proprio in mezzo a questo ‘rimprovero’ si potrebbe intravedere l’elemento, tutto sommato, positivo: l l’Avvocatura dello Stato riconosce l’assoluta legittimità dell’articolo 43 dello Statuto. Che, di questi tempi in particolare, con la riforma federalista all’orizzonte, è di fondamentale importanza per la Sicilia. Si tratta, infatti, di quella parte dello Statuto che prevede che “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonché le norme per l’attuazione del presente Statuto”.
Ma partiamo dall’inizio. Il ricorso è quello presentato dalla Regione siciliana, il 23 maggio 2011 contro il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), nonché le “ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati che possono pregiudicare lautonomia finanziaria della Regione“. Si contesta la violazione degli articolo 36 e 37 dello Statuto. La Corte rigetta (e questa non è una novità) il ricorso. E lo fa, in estrema sintesi (qui è possibile leggere la sentenza per intero) perché ritiene, come sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, che le legge madre del federalismo, la 42 del 2009, conterebbe in sé tutte le garanzie per le autonomie speciali. E che, poiché la legge in questione è ancora resta in attesa di essere attuata, non può già avere provocato danni. Secondo la Regione siciliana: “Le disposizioni impugnate, comportando una contrazione delle entrate regionali che sarebbe quantificabile, da prime e approssimative stime, elaborate utilizzando come fonte primaria la relazione della COPAFF del 30 giugno 2010”, in circa settecento milioni di euro per ciascun anno, determinerebbero inoltre, in assenza di meccanismi compensativi, uno squilibrio nelle disponibilità finanziarie regionali tale da pregiudicare la possibilità, per la Regione di esercitare le proprie funzioni”.
La Corte, invece, si convince che “nessuna concreta lesione si è verificata, né può verificarsi, in danno alla Regione siciliana, delle altre Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome, in considerazione degli spazi di autonomia che ad esse sono assicurati”. Quindi le doglianze siciliane sarebbero “generiche e del tutto indimostrate”. E poi la stoccata: “La difesa dello Stato osserva che lart. 37 dello statuto della Regione siciliana riguarda limposta sui redditi delle società, norma che non ha attinenza con largomento in esame e che “Ove fosse fondata la prospettazione della Regione siciliana di considerare la disposizione in esame come una sorta di velata norma di attuazione realizzata attraverso una legge ordinaria, la Regione avrebbe dovuto invocare la violazione dellart. 43 dello Statuto”.
Quindi in teoria, lo Stato, attraverso la sua Avvocatura, ha ribadito la sacralità dell’articolo 43. E’ un passo avanti? Lo chiederemo agli esperti. Sembrerebbe logico, inoltre che, visto che non c’è più L’Alta corte per la Sicilia (nelle parole di uno dei padri dell’Autonomia, nonché presidente della Regione, Giuseppe Alessi, “è stata sepolta viva”) cui fa riferimento l’articolo 43, si dovrebbe resuscitarla al più presto.