«Condizioni estreme»: così il rapporto dell'Osservatorio delle acque definisce la scarsità delle precipitazioni per l'anno appena trascorso. E pensare che fino a febbraio alcuni invasi dell'area meridionale erano pieni. I valori massimi sono stati registrati nel comprensorio degli Iblei e sui Peloritani
Siccità, rapporto 2017 in Sicilia: fino a -40% di piogge Nel Ragusano l’evento più intenso, dighe dimezzate
Da una parte le piogge di questi giorni che, invocate come ai tempi degli sciamani, danno un minimo di sollievo alle dighe vuote e ai campi secchi della Sicilia. Dall’altra la diffusione del bollettino siccità da parte della Regione che testimonia come l’anno appena trascorso «si è caratterizzato per condizioni estreme, in primo luogo per la scarsità delle precipitazioni, a tratti anche per le temperature».
Il Rapporto annuale di monitoraggio regionale della siccità e della disponibilità idrica degli invasi, elaborato dall’Osservatorio delle acque e dal Dipartimento regionale dell’Acqua e dei Rifiuti, consegna l’immagine di un’Isola certamente penalizzata dalla penuria di rovesci, «specie nel Catanese e nell’Ennese, dove il deficit annuale arriva spesso al 30 per cento con punte oltre il 40 per cento. Nelle restanti aree, se non si registrano valori analoghi è da ascrivere solo alle abbondanti precipitazioni di gennaio, fatto che evidenzia la scarsità delle piogge nel resto dell’anno». Il caso più evidente in tal senso è quello del Palermitano, dove ci sono «invasi strategici» (Piana degli Albanesi, Rosamarina, Scanzano, Iato) che ad oggi sono poco utilizzati rispetto alle reali capacità, con la conseguenza che il capoluogo siciliano a breve rischia la turnazione idrica.
In 96 pagine, ricche di dati e tabelle, il rapporto della Regione monitora i volumi delle precipitazioni e le conseguenze della loro assenza sul territorio siciliano. Poche sono le aree che possono sorridere. «I valori massimi, intorno a 1000 millimetri – si apprende dal report – sono stati raggiunti in alcune aree del settore orientale, nel comprensorio degli Iblei, sul versante orientale dell’Etna e sulla parte meridionale dei Peloritani. Le sole aree che hanno registrato totali superiori alle medie climatiche includono le aree costiere delle province di Ragusa e Siracusa e parte della provincia di Agrigento, anche qui grazie agli eventi di gennaio».
E dire che il 2017 era iniziato «con buoni segnali nella direzione di un recupero del pesante deficit di precipitazione accumulato nel corso del 2016 in diverse aree dell’Isola, specie in alcune zone del Palermitano, del Nisseno e dell’Agrigentino». Addirittura così tanto da far raggiungere, a febbraio dell’anno scorso, «i massimi volumi consentiti in alcuni invasi del settore meridionale». Da aprile in poi però le perturbazioni diventano sempre più rare e, complici i picchi d’afa raggiunti in estate, l’acqua comincia a scarseggiare. Il resto dell’anno si è dunque caratterizzato per «fasi di significativa instabilità»: vale a dire che ci sono stati solamente episodici temporali e soltanto in alcune zone, in maniera disomogenea. Ad esempio il 5 ottobre «si è verificato nel Ragusano l’evento forse più intenso dell’anno, che ha fatto registrare a Santa Croce Camerina 137 mm totali con un’intensità oraria di 81 mm/h, provocando locali esondazioni nel reticolo idrografico del territorio tra Santa Croce Camerina e Pozzallo».
Non sorride neanche la situazione degli invasi. Lo studio della Regione fa un raffronto lungo 30 anni. E si scopre ad esempio che la diga Ancipa, il bacino artificiale tra i monti Nebrodi, se nel 1988 aveva un tasso di piogge cumulate annue di 976.22, nel 2017 l’ha quasi dimezzato, arrivando a 525.63. Crolli significativi anche per la diga Nicoletti (in provincia di Enna), mentre sempre nel Palermitano la diga Rosamarina (per la quale il Patto per la Sicilia aveva previsto quasi 10 milioni di euro di interventi, mai realizzati) passa da 714.30 a 470.31. Tra le poche dighe ad avere un raffronto positivo tra le precipitazioni del 1988 e quelle del 2017 c’è quella del Dirillo-Ragoleto. Che, nonostante sia appartenente al territorio di Licodia Eubea (nel Catanese), è stata a lungo utilizzata dalla Raffineria di Gela. Così, mentre la città soffriva la sete e la carenza di un’adeguata fornitura idrica, l’acqua potabile del Ragoleto veniva utilizzata per lavare gli impianti industriali. Solo una delle tante anomalie di un sistema che fa acqua da tutte le parti.