Se i giovani non chiedono più chiarezza

La comunicazione, il ruolo svolto dall’informazione nella società attuale, un excursus nella storia sociale italiana degli ultimi 20 anni e i confini labili tra comunicazione pubblica e propaganda sono alcuni dei temi trattati nell’incontro La responsabilità pubblica della comunicazione, svoltosi nell’ambito del seminario Comunicazione pubblica: risorsa strategica per lo sviluppo e la competitività dei sistemi territoriali. Attori, saperi, pratiche. L’incontro, organizzato dal corso di laurea in Scienze della comunicazione, si è tenuto lo scorso giovedì al Coro di notte del Monastero dei Benedettini.

Ad introdurre la prof.ssa Rita Verdirame, presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione, la quale ha sottolineando l’importanza di un tale evento che, per la sua tematica particolarmente attuale “risponde a un’esigenza reale e offre spunti di riflessione e suggerimenti per gli studenti che intendono lavorare nell’ambito della comunicazione”.

Dopo il suo breve intervento ─ in cui ha riportato anche i saluti del rettore Recca, assente per i molteplici impegni, e del preside della facoltà di Lettere Enrico Iachello ─ la parola è passata a Paolo Mancini, studioso di comunicazione, docente dell’Università di Perugia e autore di saggi sul rapporto intercorrente tra mass-media e politica.

Il prof. Mancini ha presentato una relazione dal titolo A freddo: ripensare la comunicazione pubblica, in cui ha tracciato una ricostruzione esaustiva della storia della comunicazione pubblica nell’Italia degli ultimi 20 anni, focalizzandosi su come i cambiamenti storico-economici del nostro paese abbiano avuto conseguenze fondamentali sul ruolo della comunicazione pubblica. “Durante il ciclo storico che abbraccia approssimativamente il decennio dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni 2000 – ha spiegato – si assiste a un processo di modernizzazione culturale che è da riferirsi principalmente ai mutamenti intervenuti nel sistema di comunicazione di massa: grazie all’impetuoso sviluppo della televisione commerciale si assiste a un incremento della quantità d’informazione e ad un grande processo di svecchiamento culturale. Non a caso in questo decennio si affermano la legge 241/90 sulla trasparenza e la legge 150 del 2000; il cittadino diventa consapevole dei propri diritti e le sue aspettative crescono: si esige un’amministrazione trasparente e a contatto con i cittadini”.

L’intervento di Mancini si è allora spostato sul momento storico in cui ci troviamo attualmente: “oggi ci troviamo in un ciclo storico, che io definirei di razionalizzazione economica, in cui rientrano iniziative quali i tagli alla spesa pubblica, con evidenti ricadute sull’efficienza della comunicazione. Nella fase della razionalizzazione economica si assiste ad un raffreddamento ideologico, una presa in atto della routinarietà della comunicazione pubblica”, motivo per cui è sfumata quella voglia di partecipazione e di conoscenza della verità che caratterizzava il cittadino nel decennio precedente. “L’associazionismo diventa marginale e lascia spazio all’individualismo, scompare il ruolo di mediazione delle organizzazioni nel rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica” e questi si ritrova spesso inerme nell’arduo compito di saper discernere un’informazione giusta ed equilibrata da una mirata e selezionata alla base da scelte politiche ben precise.

Il prof. Mancini ha concluso affermando perentoriamente che “nel 2009 la comunicazione pubblica non è più quel motore di cambiamento che era stato nel secolo precedente”.

A seguire è intervenuta la prof.ssa Grazia Priulla, docente alla Facoltà di Scienze politiche di Catania, che ha presentato una relazione dal titolo Il difficile confine tra comunicazione e propaganda, in cui viene evidenziato sul ruolo rivestito oggi dalla parola e sulla perdita delle sue funzioni originarie, motivo per cui, come ha spiegato la docente, “stiamo attraversando una fase di crisi della parola e di deterioramento del linguaggio: dall’aumento della comunicazione si è passati infatti a una bulimia della comunicazione”, un eccesso che non siamo più in grado di gestire e che porta a effetti tutt’altro che positivi. In seguito, ritornando a quella che il prof. Mancini aveva definito “routinarietà della comunicazione”, la Priulla ha affermato una amara verità: “oggi non si avverte più desiderio di chiarezza e voglia di capire; le nuove generazioni hanno perso la voglia di esigere chiarezza”, individuando inoltre due aspetti salienti nel processo di deterioramento del linguaggio, cioè “l‘imbarbarimento, per cui il trash è stato sdoganato dagli ambienti culturalmente bassi ai luoghi pubblici; e, in secondo luogo, l’abitudine a usare il linguaggio per mentire: menzogne, sotterfugi, nascondere la parte scomoda della realtà fino ad arrivare alla vera e propria “bufala” sono tutti aspetti che purtroppo hanno molto a che fare con la comunicazione odierna; il racconto dei fatti è diventato spettacolarizzazione, i telegiornali dei produttori di eventi. E il dato diventa preoccupante se pensiamo che 7 italiani su 10 possiedono come una unica fonte d’informazione la televisione.”

Dopo questa illuminante introduzione sul ruolo della parola, le argomentazioni della Priulla si sono spostate sul fragile confine tra comunicazione pubblica, comunicazione politica e propaganda, tematica centrale del suo intervento. “Avere chiare queste distinzioni – ha spiegato la docente – incrementerebbe la democrazia; invece si assiste oggi a un assoluta confusione di ruoli. Cosa aiuterebbe a risolvere questa confusione? Una maggiore trasparenza da parte di tutti i politici, dei giornalisti obiettivi e un cittadino correttamente informato; i cittadini sono disinformati su una parte fondamentale dei loro diritti ─ riguardo, ad esempio, gli standard della sanità ─ che li porta a non ribellarsi quando questi vengono loro negati”. L’intervento di Priulla è proseguito con l’analisi di un fattore allarmante che sembra riportarci alla mente una filastrocca già sentita: “la normativa della comunicazione pubblica italiana è una delle più avanzate d’Europa, ma lo scarto esistente tra teoria e applicazione delle norme è anch’esso uno dei più enormi d’Europa. I confini tra comunicazione e propaganda si fanno ancora più deboli quando ci troviamo di fronte l’uso di fondi pubblici ai fini della comunicazione politica e non di quella pubblica. Da tempi memorabili chi ha il potere tende a tenerselo e chi ha il potere non ama la libera informazione; tuttavia il cittadino ha il diritto di esigere chiarezza”.

A conclusione dell’incontro è stato dato spazio al confronto tra gli studenti, i professori e gli amministratori pubblici presenti.

 


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