Ricominciano le proteste dei lavoratori del comparto scuola. Il dieci per cento dei tagli della Gelmini ha colpito la Sicilia. Ieri a Catania un sit in in prefettura. La mobilitazione continuerà nel mese di settembre
Scuola: anno nuovo, storia vecchia
Con l’inizio del nuovo anno scolastico, si ripropongono i problemi che la riforma Gelmini associata alla legge finanziaria di Tremonti hanno messo in evidenza due anni fa e, in maniera molto più evidente, l’anno scorso. Migliaia di licenziamenti, migliaia di insegnanti precari senza cattedra e senza alunni, decine di scioperi, manifestazioni, presidi, assemblee, e un’occupazione a oltranza dell’ex Provveditorato agli Studi di via Coviello, a Catania.
Ieri mattina, il sottosegretario all’Istruzione Giuseppe Pizza e l’assessore regionale alle Politiche Scolastiche Mario Centorrino si sono incontrati alla Prefettura di Catania e hanno trovato, ad accoglierli, un sit in di insegnanti precari e di ruolo, a difesa del proprio posto di lavoro e delle condizioni minime che garantiscano un corretto svolgimento della didattica.
Pizza e Centorrino hanno incontrato una delegazione del Coordinamento in Difesa della Scuola Pubblica e di quello dei Precari della Scuola: il sottosegretario ha concesso un prossimo incontro, il 9 settembre, sempre in Prefettura, «con lo scopo di discutere ancora una volta la situazione e di chiarire la posizione del Governo rispetto ai tagli che si stanno continuando ad operare». Lo ha spiegato ieri pomeriggio a Step1 Pina Palella, FLC-CGIL, aggiungendo che al prossimo appuntamento con il rappresentante del Governo «saranno presenti anche le sigle sindacali, CGIL, CISL e UIL».
Venerdì pomeriggio il Coordinamento in Difesa della Scuola Pubblica si è riunito nei locali dell’Ufficio Scolastico Provinciale in vista, come si legge in un comunicato diffuso alla stampa, «dei collegi docenti del primo settembre», in cui i professori saranno invitati ad opporsi in maniera netta alla logica dei licenziamenti.
«La legge 133 prevede il taglio di ottantacinquemila posti per quanto riguarda i docenti, e quarantacinquemila posti per quanto riguarda il personale ATA», ha quantificato Vittorio Turco, FLC-CGIL. «In totale, avremo un comparto-scuola con centotrentamila posti di lavoro in meno, in Italia». Nello specifico, la Sicilia ha pagato, paga e pagherà uno scotto abbastanza alto: «Oltre settemiladuecento sono i posti scomparsi lo scorso anno, circa cinquemiladuecento quelli che si stanno bruciando quest’anno, tra i cinque e i seimila quelli che prevediamo di perdere l’anno prossimo. Ben oltre il dieci per cento del totale nazionale. Anche se non è la definizione giuridica corretta, dal punto di vista economico e sociale questo costituisce un licenziamento di massa».
La norma salva-precari, approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso settembre, e altri provvedimenti simili risultano essere inaccettabili, ed inadeguati a far fronte alla nuova ondata di disoccupati: «Lo Stato da un lato disinveste sul sistema d’istruzione pubblico, dall’altro introduce nuove forme di collaborazione, sempre all’interno di quel sistema: contratti a termine e contratti a progetto senza tutele. Per fare questo, attinge alle risorse dell’Unione Europea. Ma queste risorse devono essere utilizzate per lo sviluppo e non come ammortizzatori sociali. Inoltre, in quelli che la Gelmini ha chiamato “contratti di disponibilità” non sono stati versati fondi ministeriali: sono state usate le indennità di disoccupazione, dell’Inps».
A poco più di un paio di settimane dall’inizio dell’anno scolastico, il futuro dell’istruzione pubblica appare nebuloso. «I tagli hanno peggiorato e peggioreranno la didattica», ha sottolineato il prof. Nino De Cristoforo, insegnante di ruolo al Liceo Scientifico “Boggio Lera” di Catania. «Questo riordino è stato effettuato in maniera illegale». Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, a fine luglio, ha infatti definito «illegittime le circolari attuative che impongono agli istituti i nuovi organici», pur respingendo il ricorso contro la Riforma che era stato presentato da settecentocinquantacinque tra genitori, alunni, docenti e personale ATA e sostenuto da svariate associazioni del settore scuola.
«Immancabilmente, uno Stato che non investe nell’istruzione smette di progredire», ha proseguito De Cristoforo. «Mi sembra più normale preferire quel comparto da finanziare, e non il ponte sullo Stretto, ad esempio».
L’assenza di risorse avrebbe innescato meccanismi «aberranti». «Vedo che molte scuole spendono parte dei già pochi soldi che hanno per produrre manifesti che invitino gli studenti a scegliere quell’istituto piuttosto che altri. È la scuola pubblica che fa concorrenza alla scuola pubblica. Sfioriamo il paradosso». Ma anche all’interno di uno stesso istituto le dinamiche avrebbero bisogno di essere riordinate, secondo criteri più democratici: «Non concorrenza tra gli insegnanti, divisione dei compiti, partecipazione a tutte le fasi della vita scolastica. La scuola non è un’azienda, non può funzionare con un preside-manager che non è affiancato dagli organi collegiali, che ancora esistono e che devono essere rispettati. L’obiettivo non dovrebbe essere indivuare gli insegnanti più bravi, ma mettere tutti gli insegnanti nelle condizioni di poter insegnare». E tali condizioni non prevedono classi sovrappopolate, «oltre che per il rispetto delle norme di sicurezza, anche per il rispetto del semplice buonsenso» ha aggiunto De Cristoforo, né edifici inagibili, laboratori insufficienti, «palestre ricavate in ambienti improbabili», e «lavoro senza possibilità di progressione di carriera».
Dando uno sguardo alla situazione delle scuole a Catania, c’è da stupirsi di come si sia riusciti ad andare avanti, fino ad oggi.