Sanità, quello che Mario Monti non dice

Chi ci governa non perde occasione per farsi notare per la propria professionalità, competenza e… astuzia.

Negli ultimi giorni ha destato scalpore l’affermazione del premier Monti relativa alla probabile, prossima nuova tassa per coprire le spese sanitarie nazionali che oggi sono addirittura “insufficienti a garantire la fornitura del servizio a tutti gli utenti”.

Quali siano le reali motivazioni di tale affermazione lo vedremo tra poco. Nel frattempo, per comprendere la sorpresa che questa affermazione ha provocato nella popolazione, è bene vedere qual è la reale situazione della spesa per il settore sanitario nel nostro Paese.

Dalla relazione sulla finanza pubblica nel 2011 fatta dalla Corte dei Conti e inviata alle Camere (ma allora l’anticipazione di Monti su cosa si basa?) emerge un miglioramento dei bilanci del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), analizzati dal tavolo di monitoraggio delle Regioni con i Ministeri dell’Economia e della Salute. Nonostante permanga un deficit complessivo di 2,66 miliardi di euro (bruscolini sul totale di spesa del Servizio Sanitario Nazionale che ammonta a centinaia di milioni di euro), prima tra le imposte e tra le tasse locali, i conti della sanità hanno fatto segnare nel 2011 “risultati migliori delle attese” (2,9 miliardi), come ammesso dalla stessa magistratura contabile.

A riprova della condizione non ottimale, ma neanche “catastrofica” come presentata dal signor Monti, per la prima volta, da oltre un decennio, la spesa sanitaria pubblica è scesa dal 7,3 al 7,1% del Pil, riducendo del 28% le perdite del sistema, le quali, peraltro, sono state interamente coperte dalle amministrazioni locali e dai cittadini. Per questo motivo, “l’analisi del bilancio dello Stato per il 2012 ai fini del processo di spending review”, redatta non più di quattro mesi fa (indovinate da chi?) dal Signor Monti, prevedeva che i costi per la sanità del nostro Paese nel prossimo triennio (2012-2014) non sarebbero aumentatati, anzi, sarebbero state sufficienti risorse inferiori per fornire gli stessi servizi (o migliori) ai cittadini.

A fronte di bilanci di spesa che sono cresciuti anno dopo anno, come dimostra il fatto che dai 69.279,550,000 di euro del 2000 si è passati a quasi il doppio 110.605,078,000 del 2010 con un trend sempre crescente (fonte SIC Sanità in cifre), parte del costo di tale incremento di spesa è già stato messo a carico dei cittadini: il ticket pro capite medio, infatti, è passato da 14,3 del 2009 a 21,8 euro del 2011.

Inoltre ulteriori vantaggi (anche economici) potrebbero essere facilmente ottenuti evitando sprechi e disservizi che oggi sono sparsi un po’ su tutto il territorio nazionale. Ad esempio, i 50 centri trapianto dislocati sul territorio operano con una media annuale di poco più di 60 interventi ciascuno. I costi medi per il personale, stando ai dati del Rapporto Ceis, presentano una differenza di ben euro 14.709,3 tra il Nord e il Sud del Paese con un divario costantemente cresciuto nell’ultimo periodo (Fonte: elaborazione CEIS Sanità su dati Ministero della Salute). Mentre al Nord si spende poco più del 9% del totale della spesa sanitaria, al Sud la quota raggiunge il 12,4% e se in tutta Italia si facesse come nel Settentrione si risparmierebbero 1,1 miliardi di euro l’anno. E non è poco.

Alcuni tagli dei prezzi e altri provvedimenti hanno fatto sì che, negli ultimi anni, il tetto di spesa sia stato sostanzialmente rispettato. E, anche grazie alle manovre di contenimento della spesa farmaceutica territoriale, succedutesi negli ultimi anni, si è potuto osservare non solo un rallentamento dei tassi di crescita, ma addirittura una riduzione del valore assoluto.

E ciò, in un settore dove, se si evitassero sprechi e speculazioni (talvolta ridicole come nel caso delle gare d’appalto per gli elettrocateteri tenutesi in Puglia, dove sono stati presentati ribassi fino al 90%, segno che la stima dei costi era stata sovradimensionata) sarebbe possibile fornire i servizi necessari a tutta la popolazione senza alcun bisogno di “minacce” da parte del Governo.

La somma destinata al Servizio Sanitario Nazionale non è insufficiente, anzi probabilmente spesso è sovrastimata. Anche la spesa per i farmaci che dai 25,3 miliardi spesi per la farmaceutica nel 2009 è passata a circa 26,3 miliardi spesi nel 2011 (+4%), non ha creato problemi al bilancio statale. Infatti, a coprire le maggiori spese non è stato lo Stato (la Classe A SSN risulta in netta diminuzione), ma i singoli cittadini (la Classe A privata è nettamente cresciuta).

Sono i numeri che parlano. Le risorse a disposizione del Servizio sanitario Nazionale parrebbero essere più che sufficienti per assistere e tutelare i cittadini e ampi miglioramenti sarebbero possibili se si ponesse fine a sprechi e spese paradossali: sprechi e spese paradossali resi noti dall’Osservatorio dei contratti pubblici, che ha messo sotto indagine le principali stazioni appaltanti operanti in ambito sanitario su tutto il territorio nazionale.

Sempre a titolo di puro esempio (ma ce ne sarebbero tanti da citare), come mai una siringa monouso che dovrebbe costare 3 centesimi viene pagata da Asl e ospedali a un prezzo medio di 7 centesimi (ma alcuni arrivano anche a 65)? E come mai per gli stessi inserti di protesi all’anca vengono pagati da alcuni 284 euro e da altri addirittura 2.575 euro? (Dati Agenzia per i servizi sanitari regionali Agenas). (a destra, foto tratta da novara5stelle.it)

Ma, allora, come mai se la spesa del Servizio Sanitario nazionale – nonostante gli sprechi, gli aumenti costanti, anno dopo anno, e la delega di alcune voci di spesa ai singoli cittadini – è stata in grado, sino ad oggi, di coprire il fabbisogno di tutta la popolazione, il premier Monti ha annunciato che le somme a disposizione della pubblica amministrazione non sono più sufficienti e che sarà necessario ricorrere a nuove tasse (il problema, in realtà, non è “se” ma “come”)?

Ebbene, il vero motivo forse è da ricercare altrove.Tra le norme più “strane” della spending review di Monti c’è la riorganizzazione della sanità, con il taglio dei posti letto ospedalieri che dovranno scendere a un livello di 3,7 ogni mille abitanti. Dovranno, inoltre, essere “eliminate” diverse migliaia di posti letto (tra i 20 e i 27 mila letti rispetto alla dotazione attuale).

Il taglio dovrebbe avvenire in conformità con nuovi “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi” per l’assistenza ospedaliera, che dovevano essere fissati con un apposito regolamento del Ministero, d’intesa con la Stato-Regioni, entro il 31 ottobre 2012. Il sistema di riorganizzazione della rete ospedaliera previsto del Ministero della Salute prevede che anche le strutture private accreditate si adeguino. Il destino degli ospedali sarà legato alla qualità del servizio offerto facendo riferimento al Programma di valutazione dell’Agenas (foto sopra tratta da sanita.usb.it)

In attesa che le nuove soglie vengano definite, sono stati indicati alcuni valori di riferimento di cui dovranno tener conto da subito ospedali pubblici e privati. Ciò significa che una parte delle strutture esistenti non potrà più fornire i propri servizi alla popolazione. In Italia, in base ad una prima elaborazione effettuata da Quotidiano Sanità sui dati del Ministero, le case di cura private accreditate sono 406, per un totale di 28.945 letti per malati acuti. Il 63,3% di queste, 257 (di cui 44 in Sicilia), non rispetterebbero i parametri previsti dal regolamento ministeriale, quindi potrebbero perdere la convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale e, di punto in bianco, verrebbero a mancare 10.412 (1746 solo in Sicilia) posti letto per acuti, pari al 35,9% dei letti per acuti nel privato accreditato.

Quindi, la necessità di reperire ulteriori somme non è affatto legata all’attuale Servisio Sanitario Nazionale, ma deriverà, probabilmente, dalla necessità di adattare, con soldi pubblici, un gran numero di strutture, molte delle quali private, ma indispensabili per la fornitura di servizi secondo i nuovi standard fissati dal governo Monti.

In definitiva, le somme che i cittadini dovranno sborsare non serviranno a fornire maggiori (o migliori) servizi, ma, molto probabilmente, solo a modernizzare un gran numero di strutture private utilizzando i contributi che saranno erogati grazie all’aumento delle tasse. Sarà così? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 


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