Dal resoconto stenografico risultano 61 votanti al momento dell’approvazione della norma, ma soltanto 51 voti espressi realmente. È questo il motivo per cui l'amministratore della partecipata continua la sua battaglia contro i deputati dell'Ars, scrivendo anche al Viminale
Riscossione Sicilia, Fiumefreddo presenta denuncia Non tornano i conti sulla votazione che lo ha silurato
I conti non tornano affatto. E Antonio Fiumefreddo non ha nessuna intenzione di seppellire l’ascia di guerra nei confronti degli inquilini di Palazzo dei Normanni. La norma su Riscossione Sicilia approvata dall’Assemblea nei giorni scorsi che avvia la liquidazione della società e fa saltare l’amministratore unico, infatti, non è che l’ultimo capitolo della guerra senza esclusione di colpi consumata tra Fiumefreddo e i deputati regionali. Ma questa volta i conti non tornano. Così dal resoconto stenografico risultano 61 votanti al momento dell’approvazione della norma, ma soltanto 51 voti espressi realmente.
«Stamani – ha dichiarato Fiumefreddo – ho presentato un esposto-denuncia al Procuratore distrettuale della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, chiedendo l’acquisizione del verbale stenotipico e della documentazione relativi alla votazione tenutasi all’Ars nella seduta del 9 agosto, con cui si è votata la liquidazione di Riscossione Sicilia e la mia immediata decadenza come amministratore unico della partecipata regionale».
Fiumefreddo ha chiesto di accertare «se non si sia consumato il delitto di falso, atteso che alla votazione risultino presenti 61 deputati, ma dalla sommatoria dei voti contrari, di quelli favorevoli e degli astenuti, emerge che siano stati espressi 51 voti. Mancano dieci voti all’appello. Com’è possibile – si chiede ancora l’amministratore unico della partecipata di riscossione – che il presidente Ardizzone, chiamato ad assicurare la regolarità dei lavori d’Aula, non si sia accorto di nulla? La circostanza inficia gravemente il voto ed inquieta per ciò che potrebbe celare».
Fiumefreddo ha scritto anche al ministro dell’Interno «perché, giusti i poteri che la legge gli assegna, vigili se in Sicilia non si sia consumato, nella fretta di consumare una vendetta, una condotta gravemente lesiva dei principi costituzionali che regolano il funzionamento dell’Ente».
Un ultimo appello, infine, l’avvocato catanese lo ha rivolto al primo inquilino di Palazzo d’Orleans, Rosario Crocetta, «perché impugni la legge, chiaramente sprovvista dei criteri di astrattezza delle leggi, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione essendo in presenza di una legge diretta contro un cittadino limitato nelle sue libertà costituzionali». Bocche cucite intanto da Palazzo dei Normanni, dove qualcuno si limita a sussurrare «sì, in effetti i conti non tornano». Ma nessuna replica ufficiale alle accuse dell’amministratore di Riscossione Sicilia.