L'aut-aut del governatore regionale dopo la disfatta sul primo articolo della riforma targata Pierobon: «Il governo non andrà più in Aula fino a quando non sarà abrogato il voto segreto». Ma il sospetto divora la coalizione
Riforma rifiuti, Musumeci contro voto segreto Ma nella maggioranza è la diffidenza a vincere
Ad alcuni è sembrata davvero la tempesta perfetta. «Forse troppo perfetta», sussurrano. Nel day after della débâcle più pesante per il governo regionale, sono stati in molti tra le file della maggioranza ad ammettere di essersi rivolti al governatore, nel corso dell’Aula, per suggerire di rinviare il voto. Numeri troppo risicati e governo già andato sotto su tre votazioni degli emendamenti non lasciavano ben sperare sull’esito del voto.
Come non lasciava ben sperare il fatto che le opposizioni avessero dato forfait alla richiesta di confronto avanzata da Musumeci. Segnali rispetto ai quali il governo ha scelto comunque di andare avanti. «Salvo scagliarsi un attimo dopo contro il voto segreto e l’opposizione. Ma quei voti sono mancati nella maggioranza», si sussurra ancora tra i corridoi del Palazzo, ancora una volta a taccuino rigorosamente chiuso.
Musumeci, dal canto suo, ieri pomeriggio ha rilanciato: «Il governo regionale non andrà più in Aula fino a quando non sarà abrogato il voto segreto». Una presa di posizione a cui ha fatto seguito l’atto formale che i deputati di Diventerà bellissima hanno indirizzato a Gianfranco Miccichè. Nella proposta dei parlamentari del gruppo di Musumeci, l’abolizione del voto segreto all’Ars dovrebbe riguardare «i disegni di legge di riforma, l’approvazione di bilanci e consuntivi e relativi emendamenti, nonché tutti quelli che comportino aumenti di spesa o diminuzioni di entrate, indichino i mezzi con cui farvi fronte, o comunque “appostazioni” di bilancio».
I deputati regionali si appellano ai regolamenti interni di Camera e Senato, dove «sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni riguardanti le persone e, solo su richiesta, quelle che incidono sui principi e sui diritti di libertà, sui diritti della famiglia e sui diritti della persona fisica». Insomma, i fedelissimi di Musumeci non ci girano attorno: «Appare improcrastinabile la necessità di adeguare il nostro regolamento interno, in tema di voto segreto, a quello del Senato, onde evitarne l’uso improprio e distorto, anche alla luce degli ultimi accadimenti avvenuti nell’Aula del Parlamento siciliano».
Secche le opposizioni. Secondo Antonello Cracolici, Musumeci avrebbe annunciato un vero e proprio aventino, «dopo quasi un secolo in cui i suoi padri politici costrinsero l’opposizione ad abbandonare il Parlamento. Adesso è lui ad annunciare l’abbandono del parlamento siciliano per reagire contro l’opposizione». Secondo l’esponente dem, il governatore farebbe prima «a dimettersi. È ormai evidente che non è adeguato a governare la Sicilia».
Non ci vanno più leggeri i 5 Stelle che accusano il primo inquilino di Palazzo d’Orleans di essere «come il bambino prepotente che, quando non può vincere la partita, porta via il pallone, impedendo ai suoi compagni di giocare. Abolizione del voto segreto o paralisi di sala d’Ercole è un aut-aut inaccettabile in un contesto democratico, specie se si ricorda che proprio Musumeci e il suo gruppo, nella scorsa legislatura, votarono contro l’abolizione di questa modalità di voto».
Il riferimento dei pentastellati è a una seduta dell’8 agosto 2017, quando il presidente della Regione era Rosario Crocetta e a invitare i deputati a bocciare la proposta di abolizione del voto segreto era Santi Formica, eletto nella lista di Musumeci alle Regionali del 2012. «Se noi aboliamo il voto segreto – si legge nel resoconto stenografico dell’intervento di Formica – in una istituzione a elezione diretta, significa che il Parlamento non conta più veramente nulla». I 5 Stelle, in ogni caso, si dicono favorevoli all’abolizione dello scrutinio segreto e chiedono di esaminare il loro ddl, già presentato in Assemblea. Un gancio che ha colto subito subito Gianfranco Miccichè, che in una intervista all’AdnKronos si è detto disponibile ad adeguare la durata del taglio dei vitalizi alla normativa nazionale (al momento l’ok è arrivato per due soli anni), a patto che si abolisca il voto segreto.
Ma, oltre lo scontro tra governatore e opposizioni, il tema vero è il clima di diffidenza diffuso nella maggioranza. Dove nessuno, ormai, è disposto a mettere la proverbiale mano sul fuoco sulla lealtà degli alleati. Un clima in cui in molti arrivano a dubitare dell’errore ammesso immediatamente dal centrista Giovanni Bulla, intervenuto subito dopo Musumeci per dire di non avere votato per errore. E quell’unico franco tiratore? Attorno a quel nome, che nessuno saprà mai con certezza, dalle parti della maggioranza ci si avventura, bendati, nel campo minato delle ipotesi. Dove chiunque rischia di farsi molto male.
«L’assenza di Miccichè? Io avrei preso un’aspirina…». «E allora il comunicato in cui Marianna Caronia attaccava Lagalla?». «E le critiche avanzate da Figuccia alla riforma?». «Certo, però, con Fratelli d’Italia i rapporti non sono proprio serenissimi…». «E i Popolari e Autonomisti? In commissione qualche mal di pancia si è registrato…». «E se fosse stato proprio qualcuno di Diventerà bellissima?». Tutti indiziati, nessuno escluso. In un clima di sospetto che ha fatto implodere ancora una volta la maggioranza. Forse irreversibilmente. Anche se il passare delle ore porta molti degli esponenti della maggioranza verso un’analisi comune: «La ferita brucia perché potrebbe essere arrivata da molto vicino». Come da tradizione nei migliori gialli, insomma, dove l’assassino è sempre il maggiordomo.