Chiara Pulvirenti è una dei tanti lavoratori precari dell'Università di Catania che, emozionata dall'incontro con la presidentessa della Camera al rettorato catanese la settimana scorsa, ha deciso di scriverle una lettera aperta. E' molto arrabbiata con il suo paese, ma al contempo «ha tanta passione civile, che vorrei fosse contagiosa», risponde la Boldrini pubblicando la lettera sul suo sito. Una missiva che arriva dopo quella dell'associazione Gapa, del quartiere etneo San Crostoforo, per rimproverare all'onorevole la sua mancata visita
Ricercatrice catanese scrive a Laura Boldrini «Io umanista costretta a scappare»
Gentile presidente, le scrivo sullonda dellemozione, dopo lincontro con i giovani ricercatori dellUniversità di Catania. Ho lasciato prima laula del Rettorato, con una pesante (e imbarazzante) commozione. Mi sono seduta ad un tavolo di un bar della mia bellissima città e ho iniziato a scrivere, perché mi ha convinto che lei ha davvero voglia di ascoltarci.
Sono anche io una ricercatrice. Precaria. Lavoro qui a Catania, ho studiato Storia contemporanea alla facoltà di Scienze Politiche e ho avuto lopportunità di diplomarmi alla Scuola Superiore insieme ai colleghi che hanno parlato oggi e che sono profondamente orgogliosa di conoscere.
La mia storia a differenza della loro è però piena di sensi di colpa e di inadeguatezza per aver preteso di assecondare i miei sogni. Avrei potuto scegliere di laurearmi in una facoltà scientifica. Magari sarei diventata un buon medico, una discreta insegnante. Sin da bambina mi sono sempre impegnata nello studio con ottimi risultati. Avrei potuto scegliere di intraprendere una carriera più sicura e dare un sollievo alla mia famiglia, che ha seguito con attenzione, cura e dedizione la mia formazione e ha lottato perché potessi cogliere qualsiasi opportunità la vita mi offrisse. Invece ho voluto inseguire il Mio Sogno, quello di scrivere e narrare, di riuscire a catturare la potenza creatrice della parola e farne valore tangibile.
Sono entrata nel mondo accademico senza alcuna ambizione rispetto ai privilegi di chi lavora allUniversità. Al liceo mi avevano insegnato come si racconta, ma dopo la maturità non ero ancora sicura di sapere cosa avessi da dire. Poi alla Scuola superiore e in Dipartimento ho conosciuto quelli che ora considero i miei maestri, docenti che mi hanno fatto scoprire la storia del nostro Paese e dellEuropa e ho capito che quello che avevo da comunicare era limportanza della passione civile e della buona politica, la storia di quei modelli di cui ha parlato oggi, che ben al di là del mito hanno ancora infiniti doni da consegnare alla nostra terra distrutta, lacerata e umiliata da decenni di malgoverno. È avvenuta grazie a questi fortunati incontri la mia iniziazione alla ricerca storica.
Il mio primo libro, il mio primo sogno realizzato in pagine e inchiostro, me lo ha ispirato la figura di Altiero Spinelli. Era il frutto di alcuni mesi di studio in archivio sul manifesto di Ventotene, il lavoro di una ragazzina che probabilmente oggi riscriverei radicalmente, ma che ha suscitato inaspettate approvazioni da parte di chi il fondatore del federalismo europeo lha conosciuto davvero e ha voluto consegnarmi il Premio Matteotti, incentivandomi a continuare sulla strada contorta, difficile, lo sapevo bene, che avevo scelto. Era il 2007 ed ero al settimo cielo. Sono entrata tremante a Palazzo Chigi, con il sentimento di venerazione e riverenza di una giovane donna che credeva profondamente nel valore delle Istituzioni, che andava su tutte le furie di fronte al qualunquismo di chi accostava la politica allaggettivo sporca, che non aveva mai osato il passo della militanza attiva per un eccesso di timidezza, ma che con estrema fiducia e responsabilità sceglieva i propri rappresentanti.
Poi è iniziata la crisi. Ho vinto il concorso per il dottorato di ricerca in Storia Contemporanea nel 2008 e il mio è stato lultimo ciclo di un dottorato in quella disciplina. Ho continuato a scrivere e a studiare furiosamente, a ricercare memorie da diffondere e viaggiando in Spagna, in Inghilterra, in Francia ho scoperto nella mia terra, in Sicilia, lesistenza di un passato culturalmente e politicamente vivace troppo a lungo celato alla memoria. Lisola sequestrata, fatalista, superstiziosa, immobile è in realtà la patria di una Costituzione davanguardia, di uno spirito rivoluzionario precoce, di una comunità scientifica antichissima e interconnessa col resto dEuropa.
Insieme al mio maestro e a un gruppo di colleghi intraprendenti e infaticabili ho lavorato negli ultimi anni a studi e ricerche internazionali sulla storia del Risorgimento, dellUniversità, della Rivoluzione e della Controrivoluzione, sulla storia dellambiente e sulla Questione meridionale. Ho lavorato giorno e notte. Ma soprattutto ho imparato a convivere con un umiliante e crescente senso di colpa. A che serve la storia in tempi di crisi? A chi dovrebbero interessare le mie ricerche e perché? Chi dovrebbe investire sulla mia carriera e sul mio futuro? A chi serve il mio sogno? Non ricordo nemmeno quando ho iniziato a giustificarmi per il lavoro che faccio e che fino a qualche anno fa mi rendeva tanto orgogliosa.
Sono unumanista, Presidente, ma cè ancora spazio per gli storici, i filologi, i filosofi, gli artisti in questo Paese? LItalia ha deciso di fare a meno del pensiero e della bellezza? Dobbiamo continuare a vergognarci di aver scelto una strada che ha un valore scarsamente produttivo, almeno nel senso stretto del termine? Perché non parlate più della tutela del patrimonio storico e artistico del nostro Paese? Perché mi costringete a scappare e a rinunciare allo studio del passato della mia terra?
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La sintesi della visita all’Università di Catania della presidente della Camera Laura Boldrini, nel video realizzato da ZammùTv.