Dopo le parole del magistrato componente del Consiglio superiore della magistratura, tornano ad alzarsi i toni tra i contentendenti a Palazzo d'Orleans. Al centro dell'attenzione le indagini passate e presenti in cui è stato coinvolto il candidato del centrodestra
Regionali, Cateno De Luca torna ad attaccare Renato Schifani
Il sistema Montante irrompe e prende posto nella campagna elettorale per le Regionali. Quello strano intreccio tra politici, imprenditori e forze dell’ordine, sotto processo a Caltanissetta, che attraverso una ramificata rete riuscivano a condizionare le attività politiche e, di conseguenza, l’azione amministrativa non resta fuori dalla corsa per la presidenza della Regione Siciliana. A segnare l’ingresso definitivo è un comizio a Ramacca. Riflettori puntati sul candidato del centrodestra, Renato Schifani, già presidente del Senato ed esponente di lungo corso di Forza Italia, con una parentesi non fortunata nel Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano. Su uno schermo della piazza viene proiettato lo stralcio di un’intervista, fatta dal giornalista del Fatto Quotidiano Giuseppe Pipitone a Nino Di Matteo, consigliere del Consiglio superiore della magistratura, e rilasciata durante un dibattito a Milano nella cornice di sala Pirelli. «La situazione – ha detto il magistrato – è più grave di prima. Ormai abbiamo accettato come normale il fatto che condannati definitivi, per fatti di mafia, esercitino un ruolo importante nella scelta dei candidati. Abbiamo accettato il fatto che alla presidenza della Regione Siciliana venga candidato un esponente politico che, stando alle parole di chi ha archiviato il procedimento penale, ha comunque avuto in passato rapporti significativi con esponenti mafiosi di livello. Purtroppo – continua – a me sembra che la Sicilia, che come spesso accade è la metafora d’Italia, ma tutto il Paese stia facendo dei grandi passi indietro rispetto a trent’anni fa quando le stragi provocarono almeno, nella parte più sana e avveduta della popolazione, un senso di indignazione, di ribellione, di recupero della dignità che nel tempo si è andato affievolendo. Oggi è considerato normale che non si parli di una sentenza che statuisce che parte importante delle Istituzioni ha trattato con un’ala di Cosa Nostra, che ha favorito la latitanza di Provenzano, che non è stato perquisito volontariamente il covo di Totò Riina e che, in Sicilia, esponenti politici che o sono stati condannati o hanno avuto contatti significativi e di livello con esponenti mafiosi, determinano le candidature o addirittura siano loro stessi candidati. Questa è la situazione – chiosa – che da cittadino mi indigna e mi preoccupa».
Immediata la reazione da parte di Cateno De Luca, candidato alla presidenza della Regione. «Ecco – ha detto l’ex primo cittadino di Messina – questo è il motivo per cui non si può votare Schifani. E non si può votare il centrodestra, neanche a livello nazionale, proprio perché hanno scelto di mascariare nuovamente la Sicilia e proporre un personaggio che è descritto nelle carte processuali del sistema Montante in corso a Caltanissetta. E dove l’imputato eccellente si chiama Renato Schifani». De Luca, poi, torna a sfidare Schifani e chiede un confronto pubblico ma soprattutto ritira fuori la questione legata alle competenze maturate nella gestione degli Enti locali. «Lui – ribadisce De Luca riferendosi a Schifani – non si capisce cosa abbia fatto per la Sicilia. Su cosa è competente? Nelle carte processuali si vede, si legge in cosa è competente. Io ho amministrato tre Comuni con risultati evidenti».