Quando la musica è Merce Fresca «Oggi tutto si basa sui talent show» 

La freschezza può essere un aspetto della vita ma non può mancare nella musica. La pensano così i Merce Fresca, sei giovani nisseni che hanno dato vita ad un genere fuori ordinanza dalle nostre parti. Alle prese con la realizzazione del terzo album, la band si destreggia tra le difficoltà di affermarsi in un momento in cui l’industria musicale è sempre più legata al variopinto universo dei talent show. Lorenzo Ciulla, il cantante della band, è frontman gagliardo e dal pensiero schietto.

Perché Merce Fresca?

«Il nome non ha un significato particolare. Dieci anni fa abbiamo cominciato per gioco, eravamo dei ragazzi uniti dalla voglia di fare musica, che si sono ritrovati a suonare insieme senza avere un nome. Un giorno è saltato fuori il nome Merce Fresca, proposto da un componente della band. Ci è piaciuto e lo abbiamo associato al fatto che eravamo giovani e freschi, proprio perché la nostra musica vuole trasmettere divertimento».

Privilegiate un sound poco ordinario, che fa leva soprattutto sullo ska.

«Ognuno di noi porta con sé un bagaglio personale, io ho sempre ascoltato ska, raggae e hip hop. Col tempo, attraverso una contaminazione globale, ha preso vita il genere Merce Fresca, che non è solo ska ma anche pop, swing, rock and roll e reggae. Una fusione che ha creato pian piano il nostro stile».

E durante il vostro cammino vi siete imbattuti in Mogol.

«E’ stata un’esperienza che ci ha segnato dal punto di vista musicale. Frequentare la scuola di Mogol in Umbria mi ha dato tanto, lì ho capito che per fare musica bisogna anzitutto ascoltarne tanta. Ho imparato ad avere una visione più aperta. Quella di Mogol è una scuola d’arte in tutti i sensi, niente di paragonabile alle cosiddette scuole che vediamo nei talent in tv».

Scegli uno slogan che vi rappresenta.

«Divertitevi, perché la vita è cazzuta. Ballate con noi sotto il palco, lasciate i pensieri a casa e siate spensierati».

Si può vivere di sola musica?

«Non so come funzionasse negli anni ’70 ma so che oggi è molto difficile. Certamente a causa della crisi, perché i locali hanno una ridotta possibilità di investire e quindi pagano poco, spesso niente. Però oggi lo show business ha caratteristiche molto diverse soprattutto per colpa dei talent. I gruppi emergenti hanno enormi difficoltà ad affermarsi accanto alle stelle di passaggio fornite dalla tv, che attirano l’attenzione degli organizzatori, convinti di avere un tornaconto maggiore dall’investimento fatto su di loro».

E in tutto questo, le case discografiche che ruolo giocano?

«Per affermarsi ci vogliono tanti elementi. Bisogna suonare tanto e stringere i denti con la speranza di farsi notare. Solo così si può sfondare, anche se si rischia di invecchiare aspettando il successo. Naturalmente, la presenza di una casa discografica fa tanto perché permette di raggiungere il traguardo in maniera più veloce. C’è però il rovescio della medaglia: bisogna scendere a compromessi e talvolta trasformare radicalmente il proprio stile. Però, non bisogna mai lasciarsi prendere dalla frenesia di firmare subito un contratto. Quella che abbiamo avuto noi, ripartiti dopo un’esperienza negativa».

Cosa vi aspetta nei prossimi mesi?

«Stiamo lavorando al terzo album, che deve soprattutto raccontare la nostra crescita personale, sociale e culturale. Siamo reduci da un tour siciliano e da uno nazionale in radio. Vogliamo partire sparati con i nuovi appuntamenti live».


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