Prendete una telecamera e osservate

In
“Abbiamo
raccolto le pietre” il giovane regista ragusano Giuseppe
Tumino ci mostra gli
ultimi giorni di un centro giovanile che ha operato per tre anni nel
quartiere
Celle di Vittoria. Il centro ”Giovani in
città” viene aperto grazie ad un
accordo di programma quadro della Regione Sicilia per la valorizzazione
delle
aree disagiate. Le reazioni dei giovani di Celle a questa iniziativa,
nonostante l’iniziale diffidenza per la sua
novità, sono positive ma non
bastano a prolungare la durata del progetto. Grande è
l’amarezza delle
operatrici sociali che vedono tre anni di lavoro buttati al vento e
sconfortante è lo smarrimento dei ragazzi (“Non
abbiamo niente, non sappiamo
cosa fare” dice uno di loro) che, pur mantenendo una certa
“spacconaggine”, non
nascondono la loro gratitudine verso chi li ha guidati e consigliati
quando le
famiglie non sono state presenti.
Un viaggio toccante
in una gioventù che si vede privata del proprio futuro e
che, in mancanza di
infrastrutture adatte, rischia continuamente d’essere
ingoiata dalla realtà
della strada, spesso fucina per le organizzazioni malavitose.
Questo documentario,
premiato al Festival Libero Bizzarri, è stato realizzato
grazie anche alla
collaborazione del Consorzio “La
Città Solidale”, del Comune
di Vittoria, dell’associazione
di volontariato “Dott.Mimmo Tanteri” e alla casa di
produzione Extempora.

Ibla-lab
ha
incontrato l’autore di “Abbiamo raccolto le
pietre” per un’intervista.

Torni
vincitore dalla sezione “Oltretempo” del
premio Libero Bizzarri : prima il tuo corto è stato
selezionato da una giuria
di esperti poi premiato da una giuria di ragazzi tra i 18 e i 30 anni.
Quali di
questi riconoscimenti è stato più significativo
per te?

Diciamo
che sono
entrambi significativi. È gratificante sia il fatto che una
giuria tecnica
abbia selezionato il lavoro sia che il pubblico lo abbia apprezzato, in
particolare
perché composta da ragazzi. Non faccio differenze in questo
senso, anche se nei
festival sono sempre stato un po’ titubante quando
c’era un premio di giuria
popolare perché di solito viene premiato il lavoro
più vicino alla zona
geografica dove si svolge il festival. Mi ha fatto molto piacere
dovermi
ricredere.

Con
quale spirito ti sei avvicinato alla vicenda del
centro “Giovani in città” di Vittoria?

Premetto
che prima di iniziare non conoscevo il centro. Per le riprese avevo 4
giorni di
tempo, ma era
impossibile documentare
tre anni di attività. Da subito ho respirato
un’aria malinconica, e ho pensato
che non era il caso di osannare questi tre anni, ma mi premeva far
capire che
ci voleva una sensibilità ulteriore degli enti
affinché questo progetto si
potesse riaprire

Effettivamente
dal documentario sembra che il progetto
abbia avuto molto successo.

Sì,
ha funzionato
benissimo e i ragazzi realmente sono usciti fuori dal contesto della
strada,da una
realtà fuorviante. Quando ero a Grottammare per il festival
mi chiedevano
sempre ”Come mai una cosa del genere è
chiusa?”. Certo, si sapeva che doveva
chiudere, ma sono convinto che invece di investire in eserciti, si
dovrebbe investire
in operatori sociali e nelle scuole che sono, secondo me, le cose che
hanno più
valore in questi contesti difficili. Molti di questi ragazzi si sono,
diciamo
così, ”salvati”. Proprio ieri me lo
raccontava una operatrice del progetto che
ho incontrato. Ancora non c’è stato modo di fare
la proiezione del documentario
per loro. Sarei curioso di vedere le reazioni, anzi è la
cosa che mi interessa
di più.

“Abbiamo
raccolto le pietre” si conclude con
un estratto di una poesia di Pasolini. A distanza di 50 anni
sembra che
la mancanza di fiducia nel futuro sia identica. Come pensi si debba
reagire a
questa condizione?

Non
credo ci siano
vere ricette per questo tipo di cose. La mancanza di fiducia credo sia
oggi a
tutti i livelli, in qualsiasi campo c’è una
sfiducia totale nelle istituzioni. Io,
che di solito sono ottimista in questo periodo sono pessimista.
Parlando per me,
con questo governo la vedo tragica (ride). In questo momento non ho
molte
speranze a volte mi isolo e cerco di non andare appresso al mondo.

La
scelta del cortometraggio nasce da anche da questa
tua indole?

Cerco
di avere un
approccio molto basso. Sono arrivato tardi a questo lavoro, tra i 33 e
i 34
anni. Ma era un mio vecchio pallino da sempre. Col digitale
è facile che tutti
facciano qualcosa…

…come
su Youtube dove i tuoi video ricevono ottimi
commenti.

Guarda,
non li ho
messi nemmeno io i video su Youtube! Anzi li odio
(ride).”Beddu Nostru Signuri”
l’ha messo l’università di Venezia
perché ha vinto un premio nel circuito off. ”Just
don’t know”, invece l’ha inserito uno dei
ragazzi del progetto di cui questo
video è l’elaborato finale. A me fa certo piacere
che esca qualcosa, ma da
parte mia noto che c’è una certa sovraesposizione
ed un atteggiamento molto
saccente in chi in chi realizza filmati a livello più o meno
amatoriale. In
fondo noi abbiamo solo una telecamera. Si deve solo schiacciare REC. Ma
tanti
si danno arie da grandi artisti.

Come
nasce in genere un tuo progetto?

Non
seguo un ordine
particolare. Posso restare affascinato da un particolare evento che
può essere
di carattere antropologico o sociale a secondo dei casi e quindi decido
di
approfondirlo. Oppure lo spunto può anche nascere dalla
lettura di un libro o da
un tuo stato d’animo. E da lì decidi di allargare
la tua conoscenza.

Nei
tuoi prossimi progetti il documentario rimarrà
sempre la forma d’espressione privilegiata o punti anche ad altro?

Io
non faccio tanta
distinzione tra documentario e fiction. Ci sono molti film che stanno
uscendo
adesso e stanno avendo molto successo ed hanno un taglio
documentaristico. Vedi
Garrone con Gomorra. Qualcuno dice che per fare una buona fiction devi
attenerti alla realtà, per fare un buon documentario devi
anche astrarti dalla
realtà. Si,il sogno potrebbe essere di fare una fiction
”reale” a tutti gli
effetti. Ma il documentario è per me in questo momento la
massima espressione:
quella che mi dà tanto. Mi piace cimentarmi nella ricerca e
soprattutto in
quella sul campo. Ora sto lavorando su un mio progetto, con la
collaborazione
di Extempora. Riguarda un paesino della Calabria legato ad un rito
particolare.
Ci sto lavorando da due anni e fra qualche giorno potrebbe uscire
qualcosa, anche
se non definitivo.

Un
elemento che accomuna i tuoi lavori è la grande
attenzione al territorio.

È
più legato alle
tradizioni culturali. Ad esempio per “Beddu nostru
signuri” affascinato da
letture come quelle di Sciascia o da fotografi come Leone mi sono
imbarcato in
un viaggio durato un anno col sacco a pelo. Mi piaceva mettermi in
gioco per
quello che ho sempre sognato di fare. Lo diceva anche uno dei miei
registi
preferiti, Herzog ”Prendete una telecamera e osservate, vi
farà più registi di
mille scuole di cinema”. Ed è vero. Io non ho una
formazione da scuola di
cinema però cerco d’osservare molto.


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