Ieri l'ansa ha diramato la notizia - anzi, per essere precisi, l'indiscrezione - secondo la quale la corte costituzionale avrebbe deciso di accogliere il ricorso del capo dello stato sulla questione delle intercettezioni telefoniche tra l'ex ministro, nicola mancino, e lo stesso giorgio napolitano. Il tema riguarda la trattativa tra stato e mafia.
Piange il telefono/ La trattativa Stato-mafia c’è ma non si vede (e non si ascolta…)
Ieri l’Ansa ha diramato la notizia – anzi, per essere precisi, l’indiscrezione – secondo la quale la Corte Costituzionale avrebbe deciso di accogliere il ricorso del capo dello Stato sulla questione delle intercettezioni telefoniche tra l’ex Ministro, Nicola Mancino, e lo stesso Giorgio Napolitano. Il tema riguarda la trattativa tra Stato e mafia.
Se le indiscrezioni risulteranno vere – e tutto lo lascia pensare – non succederebbe niente di eclatante. Molto
La Corte Costituzionale a Romasemplicemente, significherebbe che il ricorso è considerato ammissibile.
E’ interessante il commento del giurista Bruno Tinti, un ex magistrato che, sempre ieri, al quotidiano on line, Affaritaliani.it ha spiegato che cosa può succedere nel conflitto di attribuzione tra la Presidenza della Repubblica e Procura della Repubblica di Palermo. Com’è noto, sono stati i magistrati del capoluogo siciliano a ‘beccare’ e trascrivere le telefonate di Mancino, Ministro della Repubblica tra il 1992 e il 1993, gli anni in cui sarebbe andata in scena la trattativa tra Stato e mafia.
“Se la Corte Costituzionale dichiara ammissibile il ricorso del Quirinale vuol dire solo che accetta di discutere della vicenda ha spiegato Bruno Tinti -. Ma questo non significa che poi darà ragione a Napolitano. Quello è tutto da vedere”. Lo stesso giurista, qualche tempo fa, ha dichiarato: “Questo è un braccio di ferro che Napolitano perderà. La richiesta è infondata giuridicamente. Essendo intercettato indirettamente e non avendo nessun addebito penale, il Presidente è come tutti gli altri cittadini. E se vuole che i nastri siano distrutti, deve attenersi alla legge”.
In pratica, forse sarebbe stato meglio evitare tutta questa polemica. Quello che di questa trattativa tra Stato e mafia si è capito finora è che il Governo dell’epoca revocò il carcere duro a centinaia di mafiosi. Le bombe continuarono a esplodere in alcune città italiane: Milano, Roma, Firenze. Poi, il silenzio. E il buio che dura fino ad oggi.
Il probabile finale di questa storia potrebbe essere desunto da un racconto che circolava negli anni in cui l’ ‘Impero comunista sovietico’ era retto da Breznev.
Nelle scuole russe di quegli anni, per prendere dieci in storia, bisognava raccontarla così. Prima c’erano gli Zar e c’erano pochi ricchi e tanti poveri che facevano la fame. Poi c’è stata la rivoluzione ed è arrivato Lenin. Sostituito da Stalin. Stalin ha fatto grandi cose.Poi però si è fregato la testa con il culto della personalità, è morto ed è stato sostituito da Krusciov. Anche Krusciov ha fatto grandi cose, poi si è fregato la testa ed è stato sostituito da Breznev che sta faccendo grandi cose. Il dieci era assicurato.
Un giorno uno studente un po’ distratto andò oltre e disse: “… poi anche Breznev si è fregato la testa ed è stato sostituito…”. Ma lo disse con dieci anni di anticipo… Subito i professori lo fermarono: “Lei è andato troppo avanti: bocciato”.
Direte: che c’entra questa storia con la trattativa tra Stato e mafia? C’entra, perché anche in questa storia – pur con le differenze del caso – i pubblici ministeri di Palermo sono andati troppo avanti: e quindi vanno “bocciati”.
Insomma, in Italia mafia e Stato trattano da sempre. La Repubblica italiana ‘nasce’ con la strage di Portella delle Ginestre.
Prima delle stragi repubblicane si contano tante trattative con la mafia. C’erano quelle che andavano in scena a Trapani e dintorni, nel 1830, rintracciate dall’allora Procuratore del regno, Pietro Calà Ulloa.
La più importante trattativa la fecero Garibaldi, Bixio e Nicotera che, grazie ai picciotti della mafia, resero immortale “l’impresa dei Mille”. Poi i mafiosi hanno appoggiato Crispi, Giolitti e i suoi Prefetti; soffrirono un po’ con il fascismo, ma poi trovarono un’intesa con con gli alti gerarchi siciliani di sue Eccellenza Benito Mussolini.
A loro dobbiamo lo sbarco degli americani nel 1943, checché ne dica lo storico Francesco Renda che, sull’argomento, nega l’evidenza.
Alla mafia dobbiamo la già citata strage di Portella delle Ginestre e tante altre stragi: alcune compiute direttamente dalla mafia, altre effettuate, sempre dalla mafia, per conto dello Stato.
A parte i soliti giornalisti ficcanaso – e alcuni magistrati messi a tacere per sempre – nessuno si è mai interessato di queste trattative tra Stato e mafia.
Ora c’è la novità: l’inchiesta sulla trattativa condotta dai pubblici ministeri di Palermo. E persino le telefonate intercettate. Cose mai viste! Non c’è più mondo! Cercare di spiegare in Italia i delitti di Stato: ma siamo impazziti? Cari magistrati, questi compiti lasciateli al lavoro degli storici italiani.
Quegli stessi storici che hanno scritto la bellissima storia del Risorgimento e dell’impresa dei Mille: Garibaldi era un eroe, magari dei due Mondi, Bronte è stato un insignificante incidente di percorso, Crispi combatteva la mafia, idem Giolitti, quando c’era Mussolini si dormiva con le porte aperte, la mafia con c’entra niente con lo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943, a sparare a Portella sono stati Giuliano e la sua banda e gli americani non c’entrano, Nicola Mancino è una vittima del giornalismo di parte, le telefonate con il Quirinale non si ascoltano e tutti vissero felici e fregati…