‘Pelle d’asino’ e il dramma dell’incesto

Come vuole il detto: “Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna ad andare da Maometto”. E’ forse questo il punto più interessante della collaborazione che si instaura sempre più spesso tra le Facoltà di Lingue e quella di Lettere e Filosofia e il teatro Stabile di Catania: “spronare” i giovani studenti al teatro, portando il teatro stesso a casa loro: gli ambienti universitari.

 

Con questo spirito è stato messo in scena ieri, venerdì 17 febbraio, presso l’antirefettorio dell’ex Monastero dei Benedettini, riadattato in prosa per il teatro da Pina Mendorla e Ezio Donato, il racconto in versi Peau d’ane, di Charles Perrault, nell’ambito della rassegna teatrale Antico Oggi, promossa dalla Facoltà di Lettere e Filosofia. Antonio Di Grado, professore della citata Facoltà, tempo fa commentava in un forum il progetto teatrale: “L’esperienza dell’Antico oggi dell’anno scorso mi pare sia stata un buon inizio. Tra successi e difficoltà […] ha acceso un’idea che a me sembra preziosa: quella di manifestare l’attualità e la vitalità delle radici su cui si fondano la nostra tradizione occidentale e l’identità della nostra Facoltà, dando vita a percorsi […] che attraversino la storia e illuminino il presente alla luce di quei remoti archetipi.”

 

La fiaba francese, assieme a Grisédélis e Les Souhaits ridicules, venne pubblicata nella raccolta postuma dal titolo Contes, che conteneva peraltro i famosi Racconti di Mamma Oca, tradotti in italiano dal connazionale Lorenzini, in arte Collodi. Tra questi ricordiamo Cappuccetto Rosso, Barbablù, La bella addormentata, Cenerentola e Il gatto con gli stivali. I racconti resero Perrault famoso in tutta l’Europa, dando di fatto inizio a un nuovo ed interessante genere letterario, quello della fiaba.

 

Sebbene molti dei suoi racconti siano trascrizioni di storie tradizionali della cultura popolare, lo scrittore francese, a differenza dei fratelli Grimm, andava oltre, impreziosendo il canovaccio tradizionale con alcune proprie intuizioni creative, un esempio fra tutti è la scarpetta di cristallo ai piedi di Cenerentola.

 

C’è stavolta “…un Re […] Fra le sue tante fortune, c’era anche quella di avere scelta per compagna una Principessa, bella quanto virtuosa…”

 

Sembrerebbe un innocuo racconto dal classico finale “…e vissero tutti felici e contenti”, ed in effetti nella versione di Jakob e Wilhelm Grimm, il racconto culmina con la suddetta frase, ma è leggermente diverso nel plot, più adatto al pubblico dei bambini. Il sottotitolo dello spettacolo, racconto di un incesto, ci avverte invece che le cose non andranno proprio in quella direzione. La fiaba porta in seno due possibili interpretazioni, di due pubblici diversi. I bambini vi vedono una bella principessa che fugge dal castello perché promessa in sposa al più anziano consigliere reale e che deve affrontare mille ostacoli, grazie all’aiuto di una fata, prima di convolare alle agognate nozze. La morale, simile a quella della Bella e della Bestia, suggerisce di andare oltre le cattive apparenze, perché potrebbero celare bellezza e bontà inimmaginabili. Il pubblico adulto, invece, penetrando a fondo nella storia, arriva ad un’analisi psicoanalitica che vede il rapporto padre-figlia come incestuoso. Lo si recepisce dalla fuga improvvisa della principessa dal castello, che si allontana da quel padre rimasto vedovo dopo aver dato una promessa alla regina morente: se si fosse sposato di nuovo, avrebbe scelto una donna di pari bellezza della moglie. E di pari bellezza c’era solo la propria figlia, ergo…

 

Lo spettacolo inizia con l’intervento in scena di Ezio Donato, nelle vesti dell’autore Perrault per presentare la storia dal suo interno. Metateatro che da sperimentazione diviene sempre più la norma. Nella storia si intrecciano la versione francese, la traduzione in italiano e un racconto siciliano sempre sul dramma dell’incesto, raccontato dal personaggio di Katharina, tra turbamento e incomprensione. C’è pure Agatuzza Messia, settantenne ed analfabeta tata siciliana, depositaria della cultura popolare, che racconta il dramma dal suo punto di vista. Katharina è interpretata da Manuela Ventura: giovane in gamba che riesce a trasmettere la sofferta e imbrigliata disperazione che cova nel suo personaggio. Buon uso delle pause e dei tremanti sospiri-respiri della giovane spaurita, ma spesso le battute viaggiano su un solo tono di voce con poche e ripetute sfumature. Ottima interpretazione del linguaggio e della cadenza siciliani. Ileana Rigano, nelle vesti di Agatuzza Messina, il personaggio lo fa proprio suo con grande abilità e scioltezza, sia nelle parole, che nei gesti e movimenti. Dispiace forse il tono a volte solenne, da oratore classico, che poco rientra nei canoni del racconto nostrano.

 

A dare un tocco di scenografia in più, tre ragazzi e tre ragazze a coppia, con il più minimalista dei costumi (camicetta da notte per le ragazze, pantalone nero e camicia bianca per i ragazzi), narrano alcune parti della storia, ora in italiano, ora in francese, alternandosi con il secondo giovane narratore, che peraltro non si trattiene dall’usare l’accento francese anche quando recita in italiano. Accento che ricorda allo spettatore che in fin dei conti sempre di una fiaba francese si tratta.

 

In conclusione, uno spettacolo di sperimentazione che non risulta affatto malvagio, la cui sola pecca evidentemente è la location scelta: uno spazio troppo ristretto che non poteva avere la pretesa di attirare poi così tanto pubblico. L’affollamento dell’ambiente rendeva infatti difficile una buona fruizione dell’opera, quasi impossibile per chi stava in piedi a ridosso dei rimbombanti corridoi del Monastero. C’è insomma da limare qualcosa nell’organizzazione, ma nel complesso iniziative come Antico Oggi, risultano sempre lodevoli.


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