New York New York/ Siria: impossibilità nascondere i massacri nell’éra di internet

Che alcuni Stati possano entrare in conflitti armati contro altri Stati per sole ragioni umanitarie, è un principio così nuovo della storia che è ritenuto infatti utopistico. Si continua a pensare che gli Stati decidano per la guerra solo per preservare o accumulare potenza, non certo per ragioni ideali o morali. Cosí anche il principo della “responsibility to protect”, dal Kosovo fino all’ultimo intervento in Libia, sarebbe stato invocato solo come mantello giustificatorio per interventi appoggiati da risoluzioni Onu, enunciazioni di principio adatte a nascondere i veri interessi che muovono gli interventi armati degli Stati.
“La storia non si ripete mai allo stesso modo”, cosí ci aveva detto due settimane fa il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi quando nella nostra intervista avevamo chiesto perché in Libia si è stati prontissimi a mettere in moto con le Nazioni Unite il principio della “responsabilità di proteggere” un popolo che viene massacrato dal proprio Stato, mentre un intervento militare in soccorso della popolazione siriana veniva escluso fin dal principio.
La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma i principi, per essere tali, dovrebbero essere sempre riconoscibili nel momento della loro applicazione, altrimenti non sono tali. Quando un principio può essere calpestato nel nome della “realpolitik”, il risultato è che l’attuale considerazione di quel principio non valeva nulla fin “dal principio” della sua enunciazione! La crisi in Siria avrebbe quindi rivelato che la “Responsibility to Protect” non è altro che uno strumento per certe potenze (in questo caso Francia, GB, USA…) di spingere i propri interessi facendosi scudo dei principi morali.
Il Segretario di Stato Hllary Clinton, venerdì a Tunisi ha attaccato la Russia e la Cina per aver bloccato finora le risoluzioni del CdS dell’ONU: “It’s quite distressing to see two permanent members of the Security Council using their veto when people are being murdered: women, children, brave young men,” ha detto Hillary alla conferenza dei “Friends of Syria”. E ancora, durissima: “It is just despicable. And I ask, whose side are they on? They are clearly not on the side of the Syrian people. And they need to ask themselves some very hard questions about what that means for them, as well as the rest of us.”
Il problema è che sia la Russia che la Cina, da mesi, nei corridoi dell’ONU ripetono che dopo quello che é successo in Libia non si fidano della triade USA-GB-Francia. Il ragionamento loro è: con la scusa di “proteggere i civili”, in realtá volevano il “regime change” e hanno cosí ingannato il CdS dell’ONU che non dovrebbe scegliere chi governa un paese membro.
Ok, non tocca al CdS scegliere quali regimi debbano essere sostituiti, ma quando un governo massacra i civili che dovrebbe proteggere? Possono le Nazioni Unite, nell’anno 2012, giustificare la loro ragione d’essere, quando non possono fermare un regime che bombarda la propria popolazione per poter restare al potere?
Fino a soli pochi anni fa, i governi continuavano indisturbati a massacrare i civili che gli si ribellavano contro. Lo stesso regime siriano guidato allora da Hafez al Assad, padre del “dentista” Bashar, nel 1982 in meno di 24 ore uccise nella città di Hama un numero almeno quattro volte superiore dei civili uccisi negli ultimi dodici mesi.
Nell’era di internet e dei cellulari-telecamere che inviano immagini delle vittime di Assad facendole rimbalzare sui social network di tutto il mondo, i governi non possono più “contare” che l’opinione pubblica resti ignorante sui fatti. Adesso i cittadini superano i confini e comunicano chiedendosi aiuto. Prima, certi governi temevano solo le telecamere delle grandi tv, ma bastava non farle entrare quelle televisioni estere, e le repressioni era libere di procedure senza rischi per ristabilire la “stabilitá”. Poteva anche capitare che venisse trasmessa un’immagine sfuggita alla censura, come durante il massacro di Tiananmen Square a Pechino, con lo studente cinese che blocca un carroarmato. Ma senza quel continuo filo diretto con il mondo esterno, senza poter andare su youtbe e poter vedere, come avviene oggi, una ragazzina siriana urlare di rabbia e chiedere aiuto perché gli stanno massacrando la famiglia, ecco che il cosiddetto “ordine mondiale” stabilito dai governi poteva essere organizzato senza le interferenze dal basso.
Oggi è cambiato il mondo ormai, i governi democratici non possono più ignorare le opinioni pubbliche sconvolte dai massacri in diretta, che non accettano così facilmente la “ragione di Stato”. Ecco quindi che il principio “responsibility to protect” assume un valore fino ad allora sconosciuto nella politica internazionale. Insomma la politica estera, almeno quella delle democrazie, non può più essere condotta dal perseguimento dell’interesse nazionale senza dover tener conto anche dei diritti umani. Jimmy Carter, il presidente americano che cercò di perseguire la dottrina della difesa dei “diritti umani” come guida alla politica estera degli Usa, chissà cosa avrebbe potuto raggiungere se avesse avuto l’arma del web.
Ormai il flusso d’informazione non può più essere controllato dagli Stati. Ha ragione Hillary Clinton, anche la Russia di Putin non potrà piú fare da scudo ai massacri di Assad senza subire delle conseguenze alla sua stessa stabilità interna.

Questo articolo viene  pubblicato contemporaneamente su America oggi

 

 


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Che alcuni stati possano entrare in conflitti armati contro altri stati per sole ragioni umanitarie, è un principio così nuovo della storia che è ritenuto infatti utopistico. Si continua a pensare che gli stati decidano per la guerra solo per preservare o accumulare potenza, non certo per ragioni ideali o morali. Cosí anche il principo della “responsibility to protect”, dal kosovo fino all’ultimo intervento in libia, sarebbe stato invocato solo come mantello giustificatorio per interventi appoggiati da risoluzioni onu, enunciazioni di principio adatte a nascondere i veri interessi che muovono gli interventi armati degli stati.

Che alcuni stati possano entrare in conflitti armati contro altri stati per sole ragioni umanitarie, è un principio così nuovo della storia che è ritenuto infatti utopistico. Si continua a pensare che gli stati decidano per la guerra solo per preservare o accumulare potenza, non certo per ragioni ideali o morali. Cosí anche il principo della “responsibility to protect”, dal kosovo fino all’ultimo intervento in libia, sarebbe stato invocato solo come mantello giustificatorio per interventi appoggiati da risoluzioni onu, enunciazioni di principio adatte a nascondere i veri interessi che muovono gli interventi armati degli stati.

Che alcuni stati possano entrare in conflitti armati contro altri stati per sole ragioni umanitarie, è un principio così nuovo della storia che è ritenuto infatti utopistico. Si continua a pensare che gli stati decidano per la guerra solo per preservare o accumulare potenza, non certo per ragioni ideali o morali. Cosí anche il principo della “responsibility to protect”, dal kosovo fino all’ultimo intervento in libia, sarebbe stato invocato solo come mantello giustificatorio per interventi appoggiati da risoluzioni onu, enunciazioni di principio adatte a nascondere i veri interessi che muovono gli interventi armati degli stati.

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