Con Passione il regista americano realizza un curioso reportage sul mondo della musica partenopea. Un film dichiaratamente non enciclopedico, ma nel quale spicca la totale assenza del mondo neomelodico
Napoli canta, Turturro ascolta?
Napoli è protagonista di due film presentati fuori concorso all’ultima edizione del festival di Venezia: Gorbaciòf di Stefano Incerti e “Passione” di John Turturro. Il regista newyorkese già da alcuni anni si confronta con la cultura partenopea: curò una rivisitazione di “Questi fantasmi” di Eduardo; ora propone una specie di reportage musicale, con dichiarazione d’amore incorporata. Un’opera singolare e singolarmente apprezzabile per il fatto che è realizzata da un autore americano, però un po’ approssimativa e frettolosa.
Il regista mette in sequenza le espressioni della tradizione musicale napoletana tra il passato glorioso della canzone classica (Sergio Bruni), i fasti della sceneggiata, le forme contemporanee di elaborazione sonora (sempre rispettose di un’attitudine melodica radicale, vedi Raiz e Almamegretta).
L’esplorazione tentata da “Passione” non ha pretese di documentare il tutto o il quasi tutto, bensì di sondare umori e tematiche di un universo attraversato da conflittualità, ardore, fatalismo, gioia di vivere, malinconia, esuberanza, leggerezza. Una serie di brani fa da guida alla visione: “Tammurriata nera” (abbastanza inguaiata nella versione anglo-napoletana e con un Peppe Barra sopra le righe), “Nun te scurdà” degli Almamegretta (interpretato da Raiz e Pietra Montecorvino), “Don Raffaè”, il grandioso tributo di De André a Napoli, la bellissima “Maruzzella”. E poi tante altre cose e tanti autori: Carosone, James Senese, Enzo Avitabile e i Bottari, Angela Luce, Avion Travel. Molte le assenze, ma considerando l’intento non enciclopedico del film era prevedibile qualche omissione (mancano Murolo, i fratelli Bennato, Pino Daniele, Gragnaniello, Nino D’Angelo).
L’assenza più grave forse è relativa alla scena neomelodica: aver ignorato una produzione – quasi sovrapproduzione – di musica di consumo che rappresenta una parte, ancorché minuscola, del prodotto interno lordo di Napoli e provincia, con la sua manovalanza di artigiani e manipolatori di suoni, di animatori di matrimoni e di fiancheggiatori ideologici della vita “in mezzo alla via”, beh aver ignorato questa realtà significa aver mancato un pezzo di racconto. Cosa perdonabile perché a Turturro interessa l’oleografia, tuffarsi in un clima, in un flusso di suggestioni, farsi coinvolgere da una poesia arcaica e metropolitana, dallo spleen consustanziale alla città.
L’accuratezza descrittiva di altri film musicali recenti – tipo il bellissimo “Crossing the bridge” di Fatih Akin che fotografa la scena musicale di Istanbul o “Moro no Brazil” di Mika Kaurismaki sullo stato dell’arte sonica nel nord est del Brasile, terra di sincretismi precoloniali, africani, lusitani e a una certa distanza da bossa nova e samba – non appartiene a “Passione”. Turturro si fa messaggero di un’epica contemporanea che negli anni si è pure saldata con l’America dei liberatori, divenuti a partire dal dopoguerra centro dell’immaginario partenopeo e ponte verso nuovi orizzonti culturali e ideali e verso nuove ispirazioni. Un film tutto sommato gradevole e rispettoso, specie in tempi in cui si va profilando un’improbabile estetica meridionalista e pre-unitaria, per di più in ritardo di vent’anni rispetto al sorgere del faro leghista.