Il sindaco risponde alla lettera del Prefetto in cui si lanciava l'allarme sulla presenza di esponenti della criminalità organizzata tra i tiratori. «Quest'anno non è stato consentito a chi rivendicava pretese derivanti dal passato di montare sulla macchina votiva per riassumerne simbolicamente la guida»
Messina, la mafia nella processione della Vara Accorinti: «Abbiamo cambiato, ma azione sia corale»
«In più occasioni, anche nel corso delle riunioni del comitato per l’ordine e la sicurezza, ho chiesto che il Comune non venga lasciato solo nel contrasto alla criminalità. La risposta deve essere corale e tutti dobbiamo assumercene la responsabilità». Renato Accorinti risponde così alla lettera riservata nella quale il prefetto di Messina, Stefano Trotta, rimarca la presenza di affiliati alla criminalità organizzata e no nei ruoli chiave della processione della Vara, la festa religiosa più importante nella città dello Stretto. Una problematica che il primo cittadino ricorda andare oltre la manifestazione ferragostana.
In riferimento alle continue osservazioni, diramate anche a mezzo stampa dal prefetto, il sindaco del capoluogo peloritano premette che «anche in questa occasione sarebbe stato preferibile affrontare le questioni attraverso il confronto diretto» e che «il leale rapporto che deve essere instaurato tra rappresentanti delle istituzioni non può e non deve limitarsi a comunicazioni formali». Entrando nel vivo, precisa che «intorno alla Vara si sono negli anni sviluppate certe consuetudini che hanno consentito ad esponenti della criminalità di avere ruoli determinanti. Episodi e comportamenti – prosegue – che questa amministrazione e questo sindaco hanno, fin dal primo anno, voluto stigmatizzare, dando un fortissimo segnale di discontinuità. Nel 2013, ho indossato la maglietta Addiopizzo e sostituito i capi Vara, nella convinzione della necessità di spezzare anche simbolicamente certi retaggi che continuano ad alimentarsi, e contro i quali le risposte debbono essere forti e univoche».
Andando oltre le iniziative simboliche, sottolinea di avere intrapreso «un percorso che individuasse rigidi paletti a presidio della legalità, per evitare qualsiasi infiltrazione», coinvolgendo altri soggetti, «in primo luogo i rappresentanti della Chiesa locale». «Sono stati istituiti nuovi organismi per l’organizzazione dell’evento – evidenzia – e scelte anche persone diverse rispetto al passato. Adesso funge da capovara non più un laico, ma un sacerdote indicato dall’arcivescovo e, come attestabile da chi abbia partecipato alla processione di quest’anno, non è stato consentito a chi rivendicava pretese derivanti dal passato di montare sulla macchina votiva per riassumerne simbolicamente la guida».
Quanto alla presenza in alcuni ruoli chiave di parenti degli affiliati, il primo cittadino rammenta che «le responsabilità nella violazione della legge sono di natura personale e che non appare corretto considerare i figli responsabili delle colpe dei padri». Quanto alle «ripetute prese di distanza pubbliche», Accorinti cita proprio la «vile aggressione» al comandante dei vigili urbani, lo scorso 15 agosto. Insieme ad altri «gravi atti di intimidazione» subiti da uomini e donne della polizia municipale e da esperti o da esponenti diretti dell’amministrazione. Riprova «dell’insofferenza di alcuni segmenti nei confronti del nostro quotidiano ed efficace impegno».
«La risposta – ammonisce – deve essere necessariamente ferma, ma non può in alcun modo essere lasciata solo a noi. Quando affermiamo di fronte al governo nazionale che è necessario darci la possibilità di aumentare la nostra dotazione di vigili urbani, abbiamo ben presente che i tanti impegni a cui sono chiamati richiedono un corpo più numeroso. Ma, lo ripeto, la risposta deve essere corale». Una lotta particolarmente difficile, come sostiene Accorinti, che attiene a tutta la vita quotidiana della città, e che va condotta «coniugando l’attività repressiva e quella preventiva, il controllo del territorio, e l’iniziativa educativa e propositiva». «Non abbiamo mai permesso – afferma – che le leggi e le regole venissero aggirate o non rispettate, pagando anche conseguenze fisiche come nel caso di aggressioni subite addirittura all’interno della stanza del sindaco, senza che ci sia stata alcuna reazione». Quanto alla cittadinanza onoraria al magistrato Nino Di Matteo, richiamata nella lettera del prefetto, «nessuna retorica ma un momento di grande intensità. I valori che il consiglio comunale ha voluto testimoniare in quella giornata – conclude il sindaco – sono patrimonio di questa amministrazione».