Marrobio, operazione Strade sicure a Catania «Contrasto la criminalità nella mia città»

Dalle eruzioni dell’Etna al nubifragio di Messina, fino al Kosovo, la Bosnia, la Macedonia e l’Afghanistan. Ma con un solo baricentro: Catania. È la vita di Gianluca Marrobio, 43 anni, catanese, tenente colonnello dell’esercito. Dal 2003 in servizio presso il quinto reggimento fanteria Aosta, di stanza a Messina, è il capo ufficio operazioni che gestisce l’iniziativa di ordine pubblico Strade sicure proprio nel capoluogo etneo, la sua città. Così divide le sue giornate tra la moglie Laura e i figli Vincenzo e Gabriele, e l’operazione che prevede l’affiancamento delle forze dell’ordine locali da parte dei militari dell’esercito nel controllo del territorio.

Perché ha scelto di entrare nell’esercito? Spesso si dice che a muovere i giovani, soprattutto del Sud, sia la mancanza di lavoro piuttosto che il senso dello Stato.
«Il senso dello Stato è qualcosa che hai già dentro e che si sviluppa durante la fase di formazione. Ho sempre apprezzato e amato la divisa fin da piccolo e alla fine ho seguito le orme di mio fratello più grande. Ad appena 19 anni ho lasciato casa per iniziare la vita militare, una vita dura, difficile per un ragazzo di quest’età abituato a ritmi e abitudini diverse. È un passo importante e delicato che ha visto, allora, il mio ingresso nel mondo del lavoro e che mi ha formato a valori come l’onore, la disciplina, il rispetto delle regole, in cui credo ciecamente. Penso che il nesso soldato-uomo-famiglia descriva in breve il mio carattere e gli affetti a cui tengo di più».

Se non avesse scelto la carriera militare, cosa avrebbe fatto nella vita? Sarebbe rimasto a Catania o avrebbe preferito l’estero, come tanti giovani oggi?
«Beh, è difficile pensare a qualcosa di diverso. Forse avrei seguito mio padre nel mondo dell’edilizia, anche questo abbastanza difficile, o mio cugino nel mondo della rappresentanza. Difficilmente avrei potuto seguire la mia passione parallela, quella della musica. L’estero… Chi può dirlo? Ritengo che ognuno di noi sia segnato dal proprio destino, caratterizzato comunque dalle proprie aspirazioni, dalle proprie scelte, dalle amicizie che si frequentano. Se non avessi fatto il militare, ma avessi comunque avuto possibilità di scelta, sarei rimasto sicuramente a Catania, nella mia terra. Esiste forse un luogo più bello?».

E proprio a Catania lei è il capo ufficio dell’operazione Strade sicure, che vede i militari impegnati nel lavoro di pattugliamento insieme alle forze dell’ordine locali. Secondo lei, com’è cambiata Catania dal punto di vista della sicurezza in questi anni?
«Anche qui, come in tutte le sedi dove l’esercito è presente, la sicurezza dei cittadini è sicuramente più garantita. Questa operazione, come le precedenti, ha dato un nuovo impulso alla lotta alla criminalità, migliorando la percezione della sicurezza da parte dei cittadini liberando agenti di polizia di Stato e carabinieri da destinare ad esempio a compiti investigativi».

Ma lei non è sempre rimasto nella sua città. Tra le missioni a cui ha partecipato c’è anche quella in Afghanistan. Perché?
«Credo che la formazione e la preparazione che l’esercito offre, sia in Italia che all’estero, in armonia con i valori di democrazia e pace, debbano sicuramente essere messi al servizio della collettività soprattutto in quelle aree del mondo dove essi sono quasi del tutto inesistenti. Le missioni all’estero danno la possibilità di mettere in pratica la preparazione posseduta, mettersi in gioco anche a costo della vita per migliorare il tessuto economico-sociale della popolazione locale, condizioni che possono essere migliorate solo se viene garantita una cornice di sicurezza adeguata. Non si decide di andare in missione, si va perché si è chiamati ad andare, è un nostro dovere».

Che ricordo ha di quella esperienza?
«È stata impegnativa. Lasci dietro di te la tua famiglia e la tua casa, sperando che non accada nulla durante la tua assenza. E inizi un nuovo percorso fatto di sacrifici, orari interminabili, nuove procedure, nuove regole, nuovo clima, nuovi colleghi di nazionalità diverse ma tutti per lo stesso scopo comune, il bene di quel Paese. Ogni tanto lanci lo sguardo fuori, da un aereo, da un elicottero o dal mezzo con il quale effettui il tuo servizio e ti rendi conto che esistono posti meravigliosi e affascinanti diversi dal tuo e ti chiedi perché. Perché esiste il male, la cattiveria, il terrorismo con tutte le sue sfaccettature e quanto, al contrario, potremmo star bene tutti, di ogni colore e razza, uniti in perfetta armonia».

Se le è mai successo, davanti a cosa la sua certezza di essere nel giusto ha vacillato?
«Basta poco per capire se si è nel giusto. Basta vedere come in queste aree di crisi alcuni individui si possano arricchire con i proventi del traffico di stupefacenti, delle armi e del contrabbando e come, al contrario, la popolazione locale soffra la povertà più assoluta, l’assenza di servizi di base, come le scuole e gli ospedali».

Le piacerebbe se i suoi figli seguissero le sue orme?
«Non metterei un veto sulle scelte dei miei figli, cercherei solo di supportarli e indirizzarli al meglio».


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