L'obbligo di chiusura al pubblico anticipata preoccupata i ristoratori. Tra quelli catanesi c'è chi ha accolto con favore le prescrizioni dell'ultimo Dpcm e chi, invece, teme di dovere ricorrere di nuovo alla cassa integrazione. «Sarebbe un trauma». Guarda il video
Le reazioni dei baristi alle restrizioni del decreto anti-Covid «Affidarsi alle istituzioni, ma norme non contro i lavoratori»
L’obbligo di chiusura anticipata previsto dall’ultimo Dpcm varato dal governo Conte, per cercare di arrestare la seconda ondata della pandemia da coronavirus, preoccupa il settore della ristorazione. Dopo le 18 bar, pub, pasticcerie, ristoranti e gelaterie non potranno più ospitare chi vuole gustare i prodotti seduto al tavolo, ma solo attraverso i servizi di asporto e di consegna a domicilio. Dal centro città al lungomare, MeridioNews ha raccolto le opinioni e i timori dei titolari di alcuni bar di Catania.
C’è chi, come Roberto Nicotra, titolare di Verso all’angolo tra via Monserrato e via Renato Imbriani – nella zona di piazza Borgo – commenta con favore le prescrizioni dell’ultimo provvedimento governativo. «In questo momento bisogna affidarsi alle istituzioni – commenta Nicotra – perché hanno lanciato un patto con le aziende colpite dall’emergenza e su questo si giocano tutta la loro credibilità». Ma c’è anche chi, a seguito delle restrizioni che azzerano la somministrazione di cibo e bevande all’interno dei locali e la consumazione per le strade e nelle piazze, valuta possibili tagli al personale. «Purtroppo si dovrà lasciare qualcuno a casa o in cassa integrazione», ammette la titolare di Ernesto, storico bar catanese in viale Ruggero di Lauria a Ognina.
«Bisogna anche riconoscere che il governo qualcosa la deve decidere», sostiene Roberto Pennisi del Tris Bar. «Ma è anche vero – prosegue uno dei due titolari del noto ristoservice e pasticceria in piazza Santa Maria della Guardia – che le norme vanno sempre contro la classe lavorativa». Anche se lo scenario non è dei migliori, per Pennisi la cassa integrazione non è la soluzione migliore. «Durante il lockdown sono stato costretto – afferma – ma adesso per l’azienda e per i lavoratori sarebbe un trauma».
Netto, invece, il dissenso di Daniele Liotta, titolare del bar 20Cinque in piazza Dante Alighieri, di fronte al Monastero dei Benedettini. «Siamo in balia dei decreti del governo», afferma stizzito Liotta. Per chi gestisce l’esercizio commerciale punto di incontro degli studenti universitari, il bar rischia e non poco, perché «noi lavoriamo con l’università». La stessa che, causa pandemia, si è trovata costretta a chiudere la maggior parte delle aule studio e a dimezzare il numero di studenti che possono avere accesso alle lezioni in presenza. «Se gli studenti ci sono, lavoriamo – commenta Liotta – se non ci sono, no. In questo momento, bisogna affidarsi alle istituzioni».
L’asporto e il servizio a domicilio sembrerebbero le uniche àncore di salvezza. Ma non per tutti. «L’asporto e il delivery funzioneranno», assicura Pennisi del Tris bar, che ha deciso di effettuare il servizio fino alle 21.30. Di diversa opinione, invece, Anna Urzì. «Quando un’azienda ha dei costi fissi molto alti, il domicilio non è proficuo – commenta l’amministratrice di Ernesto – fatto da altri ha delle percentuali altissime, ma per noi è molto più complicato».