Le classi ponte e il bacio di Giuda

Scriveva Italo Calvino nel 1965 che la qualità principale dell’antilingua è «il “terrore semantico”, cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se “fiasco” “stufa” “carbone” fossero parole oscene, come se “andare” “trovare” “sapere” indicassero azioni turpi. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente». Per Calvino, questo è il succo dell’antilingua, cioè del linguaggio burocratico, nel cui dominio «la lingua viene uccisa». Bello, il neologismo d’autore antilingua, che i principali dizionari della lingua italiana hanno assunto a rango di lemma, come ricorda Maurizio Trifone nel saggio Il linguaggio burocratico (in Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano, a cura di Pietro Trifone, Carocci, Roma 2007, p. 213). Bello e sempre attuale. Sempre più attuale, viene da dire, in quanto «ammantare di tecnologico-burocratese il negativo è prassi corrente» (Gian Luigi Beccaria, Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi, Garzanti, Milano 2006, p. 47). Tale modo di “ammantare” una realtà negativa per coonestarla come accettabile, digeribile, tollerabile, chiamasi eufemismo. «Capita per esempio – prosegue Beccaria – col nostro extracomunitario in luogo di “immigrato”».

Ossia, per l’appunto: «li emarginiamo un po’, ma a fin di bene», i figli degli extracomunitari che entrano nell’italica scuola con l’intento di assimigliarsi all’italica prole. Per dirlo, però, in modo accettabile, digeribile, tollerabile, l’onorevole Roberto Cota, capogruppo della Lega Nord Padania alla Camera dei Deputati, scrive così, nella mozione 1-00033 da lui (e altri) presentata il 14 ottobre 2008 e approvata con 265 sì e 246 no (banchedati.camera.it): «la scuola italiana deve quindi essere in grado di supportare una politica di “discriminazione transitoria positiva”, a favore dei minori immigrati, avente come obiettivo la riduzione dei rischi di esclusione».

Fuor di eufemismo, ripetiamolo per amore di trasparenza semantica, «li emarginiamo un po’, ma a fin di bene». La mozione, perciò, «impegna il Governo: a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione; a istituire classi di inserimento che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua, propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti».

Una volta questo tipo di classi venivano chiamate, con altro ascondente eufemismo, classi differenziali. Le classi differenziali erano quelle in cui venivano messi i bambini e i ragazzi disabili o con problemi caratteriali. Il Regolamento generale del 1928, riguardante il Testo Unico sull’istruzione elementare, poneva il problema in termini di disciplina: «quando gli atti di permanente indisciplina siano tali da lasciare il dubbio che possano derivare da anormalità psichiche, il maestro può, su parere conforme dell’Ufficiale Sanitario, proporre l’allontanamento definitivo al Direttore Didattico, il quale curerà l’assegnazione dello scolaro alle classi differenziali o, secondo i casi, d’accordo con la famiglia, inizierà le pratiche opportune per il ricovero in istituti per corrigendi». [Altra faccenda per gli alunni con problemi di “razza”, sotto il fascismo. Dopo il ’38, furono istituite scuole medie, oltre che elementari, differenti,per soli bambini e ragazzi ebrei (vedi la Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del fascismo, 6 ottobre 1938; www.olokaustos.org)].

Si può dire che fino al 1975 la realtà delle classi differenziali manifestò, da parte della scuola pubblica, un’attitudine… positivamente discriminatoria verso certe categorie di alunni. Da quel momento, il processo di equiparazione dei diritti viaggiò di pari passo con l’idea e la prassi dell’integrazione nelle classi “normali” degli individui con problemi di disabilità.

Essere figli di immigrati merita trattamenti differenziali a scuola? Colpisce la ratio aziendalistico-pragmatica che sembra sovrintendere alla stesura della mozione Cota, tesa «al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri». Un’associazione di insegnanti aderente alla Compagnia delle Opere sostiene che la mozione Cota è in linea con la creazione delle classi ponte, adombrata nel DPR 275/99 (www.diesse.org), un prodotto, per dir così, del centro-sinistra; ma, a dire il vero, il paragone sembra piuttosto forzato. Di certo, la questione non può essere considerata isolatamente, ma va inquadrata nella visionE dell’istruzione che il Governo attuale sta mettendo in capo alla sua ‘mission’ nel segmento scolastico.

In ogni caso, come sempre, la lingua è spia di ideologie, idee, atteggiamenti mentali. L’eufemismo tradisce scrupoli morali, sociali, culturali ma è facile rendersi conto che nasconde rivelando, come il bacio di Giuda. Riguardato sotto questo angolo visuale, “discriminazione transitoria positiva” è un bacio molto strano. Forse perché non è nell’animo del Padano il linguaggio velato, la cortina del mascheramento viene squarciata sin dalla prima parola, discriminazione, che provoca un impatto semantico diretto e brutale; però la politica parlamentare abbisogna di attenuazioni e smussamenti, perciò, in contrasto ossimorico, ad addolcire la pillola, a fingere (plasmare) la discriminazione come meno discriminatoria, si mette all’altro capo dell’espressione virgolettata (prudenza, di nuovo prudenza) l’aggettivo positiva e, perdipiù, si sottolinea la durata limitata del discriminare (transitoria).

Quando si parla di immigrati, il tempo dell’ufficialità e della legalità diventa sempre contraddittorio e flessibile. Si pensi ai CPT: è Temporanea, la Permanenza (altro ossimoro) in quei Centri, che talvolta vengono chiamati anche d’accoglienza – e non si capisce bene se si tratti di auspici, di realtà o di finzione.

[Quest’articolo è comparso sul portale dell’Istituto Treccani con il titolo “Parole scomode per gli immigrati”]


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