Il Consorzio universitario ennese citato in appello per un giudizio che sfiderà i lustri della giustizia civile. Nel precedente arbitrato, il credito vantato dall'Ateneo catanese era stato ridotto a pochi spiccioli
Kore di Enna, Catania al contrattacco
Il presidente del Consorzio Universitario Ennese, Cataldo Salerno, rinviò al mittente le solite bottiglie di prosecco di Valdobbiadene fatte arrivare dal Caffè Italia. Voleva lo champagne buono, francese; festa grande, crepi l’avarizia! Era la mattina del 30 dicembre 2008. Il giorno prima il collegio composto dai professori avvocati Giovanni Pitruzzella (in rappresentanza del consorzio ennese), Giuseppe Barone (in rappresentanza dell’ateneo etneo) e dall’avvocato dello Stato Giuseppe Di Gesù, incaricati di dirimere “in arbitrato tra le parti” il contenzioso tra il CEU e l’Università di Catania, aveva finalmente depositato il proprio responso.
La pretesa di brindare a champagne era ben fondata. Nel marzo 2007 il CEU aveva formalizzato un’offerta di poco meno di tre milioni di euro, respinta come irrisoria dall’università di Catania. Dopo un anno e mezzo di memorie e contromemorie, trasmissione di documenti, deduzioni e controdeduzioni, il consorzio ennese era stato “condannato” al versamento di appena 100.000 euro.
Si è dunque saldato con pochi spicci il credito vantato per tutti i corsi dell’Università di Catania decentrati ad Enna: “Ingegneria per l’ambiente e il territorio” (dal 1998), “Ingegneria telematica” (dal 2000), “Scienze e tecniche psicologiche” (dal 2001), specialistica in “Psicologia” (dal 2004), “Gestione dell’impresa agricola ed agroalimentare”, “Formazione di operatori turistici”, “Operatore giuridico d’impresa” e “Scienze motorie” (tutti dal 2001); in totale ben nove corsi di laurea, che avevano coinvolto le facoltà di Ingegneria, Scienze della Formazione, Giurisprudenza e Agraria.
Per meglio comprendere il giubilo del consorzio ennese, basti considerare che inizialmente l’Università di Catania aveva conteggiato un credito di €18.322.148,76, costituito dalla differenza tra quanto versato dal CEU e quanto previsto dalle convenzioni. In subordine si chiedevano almeno €8.905.552,51, cioè la differenza tra quanto versato e le spese documentate fino al 2005/2006, riservandosi di rendicontare il resto.
Nel corso dell’arbitrato erano stati poi aggiunti gli altri rendiconti per il 2006/2007 e si era arrivati a una richiesta totale di €25.730.893,45 (poi corretta a €23,671.078,00, “per mero errore materiale”). Il credito era stato iscritto a bilancio dell’Università di Catania.
Nella prima seduta del Senato accademico immediatamente successiva alla sua rielezione (25 maggio 2009), il rettore Antonino Recca ha pertanto esibito l’atto di citazione contro il CEU, col quale l’ateneo catanese impugna in Corte d’Appello il lodo arbitrale del 29 dicembre. Di norma le cause pendenti presso la Corte d’Appello di Catania sono attualmente rinviate, se già istruite, al 2015. Non sarà dunque né il Senato accademico in carica, né il professor Recca, né probabilmente il suo successore, a valutare l’esito di un giudizio i cui tempi sono preventivabili in non meno di otto-dieci anni.
Nonostante ciò l’interesse del merito della controversia è notevole. Le ottanta cartelle dell’atto di citazione illustrano infatti tutte le potenziali insidie della gestione finanziaria delle sedi decentrate. Nel corso del lodo arbitrale il CEU si era spinto addirittura a vantare diritti su una quota del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) dell’Università di Catania: una pretesa “estrema”, rigettata anche da un collegio che ha deliberato in senso così favorevole nei confronti della Kore. Su molti altri punti però il consorzio ennese ha avuto la meglio.
Ha imposto l’esibizione di tutti i registri didattici delle lezioni svolte ad Enna contestando l’impegno prevalente dei docenti nella sede decentrata e scaricando sull’Università l’onere di provare in dettaglio le attività svolte da professori e ricercatori, ha ottenuto l’attribuzione a proprio favore dell’85% delle tasse universitarie degli studenti iscritti ai corsi decentrati, ha puntigliosamente contestato i rendiconti delle facoltà “per lacunosità della documentazione fornita”. In breve, la tattica di procrastinare il pagamento anticipato del dovuto è stata vincente e c’è mancato davvero poco che l’Università di Catania non dovesse “rimborsare” il consorzio ennese, nonostante il mancato versamento dei contributi previsti dalla convenzione. Ci vuol altro per spiegare l’irrigidimento dell’ateneo nei confronti dei consorzi universitari locali?