«Viste le condizioni dovrò interdire il porto di Gela». Il comandante della capitaneria di porto della città nissena, Pietro Carosia, è il primo ad essere ascoltato durante la seduta del 28 gennaio della IV commissione all’Assemblea regionale siciliana (Ambiente e territorio). La seduta è stata convocata per analizzare come sia possibile da anni che avvenga lo strano fenomeno del porto perennemente insabbiato. La causa principale sembrerebbe un errore strutturale: i due bracci, quello di ponente e quello di levante, non sono uguali nelle dimensioni e ciò fa sì che siano necessari interventi di dragaggio, da parte della protezione civile, a intervalli quasi regolari di tempo. L’ultimo, costato la bellezza di 213mila euro, era stato attuato nel giugno 2013.
A distanza di un anno e mezzo l’insabbiamento dei fondali è nuovamente evidentissimo. Servono dunque interventi strutturali. Ma la folta delegazione gelese, con in testa il sindaco Angelo Fasulo e il presidente del consiglio comunale Giuseppe Fava (ex assessore al Mare), è tornata da Palermo senza grandi risultati. Soprattutto resta al palo il progetto da 49 milioni di euro per rinnovare in toto il porto di Gela.
Un problema atavico e paradossale in una città marittima. Acuito dallo stato di totale abbandono in cui versa il porto: non ci sono servizi igienici, non c’è un servizio di carburante, mancano attrezzature adeguate e l’illuminazione è fiacca. La crisi della Raffineria si fa sentire anche qui, come ha osservato il comandante Carosia: «Siamo passati da 60 navi (industriali, ndr) in mare a otto-nove».
«Il primo passo è ridare decoro al porto», commenta Gaetano Patti, che fa parte del comitato Porto del golfo di Gela. «Molta gente non sa neanche cosa sia un porto, cosa possa significare per la città. Sono andati in tanti per ottenere l’ennesima dragatura che non risolve nulla, anzi hanno solo fatto un piacere all’Eni. Personalmente per il 2015 ho pagato 6500 euro di demanio, e queste sono le condizioni che mi vengono offerte». Perplessità ribadite anche da Domenico Messinese, presidente del comitato di quartiere Macchitella nonché candidato a sindaco del Movimento 5 stelle. Anche lui era presente all’incontro ed anche lui si dice insoddisfatto degli esiti. «Si è ottenuto – è il parere di Messinese – un intervento d’urgenza, non strutturato né risolutivo. Un intervento che sembra più volto a permettere ad Eni di spedire le camere coke in altro sito che soddisfare le esigenze portuali di Gela».
Da parte sua il vicepresidente della Commissione ambiente e territorio Antonio Malafarina (ex vice questore della città nissena prima di fare il salto in politica con Crocetta) ha ribadito che «il porto rifugio di Gela rientra tra i porti di interesse nazionale. Però la zona in cui è compreso è un sito Sin (sito di interesse nazionale, ndr), per cui ci sono una serie di vincoli da rispettare». E sul rimbalzo di competenze, tra Regione e Stato, s’è arenata gran parte della seduta. Tanto da far sbottare, su Facebook, l’architetto Vincenzo Insalaco, autore alcuni anni fa di una proposta strutturale discussa in un tavolo tecnico a Palermo e poi dimenticata. «Solo Gela e il suo porto sono fuori da una programmazione strategica siciliana sulla portualità che permetterebbe per esempio la realizzazione di interventi strutturali così come sono stati fatti altrove (42 sono i porti che ci rientrano e Gela ne è fuori)», scrive.
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