Il merito? Non abita più qui

In tempi di vacche magre per l’università italiana, a Catania si mette mano anche al regolamento del polo d’eccellenza, la Scuola Superiore. Nata sul modello della Normale di Pisa, in pochi anni ha attirato studenti e collaboratori da tutto il bacino del Mediterraneo, ma adesso rischia di essere “snaturata” con due tratti di penna. Quelli che cancellano le parole “gratuito” e “merito”. Dal prossimo Anno Accademico, infatti, verranno meno l’obbligo di residenza nel collegio e (con una serie di passaggi nel regolamento alquanto farraginosi) la verifica dei requisiti di merito.

In poche settimane gli studenti hanno redatto un vero e proprio dossier giuridico-contabile che spiega minuziosamente in cosa consistono le modifiche principali e quali saranno gli effetti (non frequentano la Scuola Superiore per caso). «Si introduce, per gli allievi ordinari della SSC, la facoltà di rinunciare al diritto all’alloggio presso la struttura di Villa San Saverio, laddove prima esisteva un diritto/dovere di residenza, e si elimina il principio della gratuità dell’alloggio e del vitto, presupposto necessario all’obbligatorietà della vita in comune, richiamando la normativa vigente in materia di diritto allo studio»: questo è il nodo della questione, ci spiega il rappresentante degli studenti Marco Motta.

Anche Giacomo Pignataro, docente della facoltà di Economia ed ex-presidente della Scuola dal 2009 allo scorso dicembre, condivide la preoccupazione degli allievi: «Il progetto originario non sono certo “le tavole di Mosè”, tutto può essere cambiato, ma auspicherei una discussione sugli eventuali limiti di quel progetto e su quali siano le possibili soluzioni. Quel regolamento comporta dei rischi, non mi stupirei se il numero di studenti residenti si dimezzasse».

Oggi gli allievi provenienti dalla provincia di Catania sono circa il 40%, da sommare a quanti si sono mostrati “insofferenti” alla vita in collegio e a chi sarà costretto a pagare per avere l’alloggio e quindi potrebbe andare a vivere altrove. «In questi anni abbiamo sperimentato un problema a tenere una parte degli studenti all’interno della scuola e ci siamo posti il problema di capirne le ragioni», riconosce il prof. Pignataro. «Probabilmente – parlo degli anni della mia presidenza e quindi assumo la mia parte di responsabilità – è stato in parte trascurato un insieme di attività non direttamente formative, di tipo culturale, che in qualche modo creano quell’interesse a vivere all’interno della residenza. Più in generale, forse sarebbe stata opportuna un’attività di persuasione per far capire a quegli studenti la rilevanza della vita comune. Su queste cose bisognerebbe lavorare, perché credo nel valore della residenza: non è un “premio” per gli studenti più bravi, ma il confronto continuo con altri colleghi che completa il progetto formativo. Le occasioni di confronto tra tutti gli studenti nella didattica integrativa sono molto limitati, quindi l’aggregazione non sarebbe la stessa».

Nessuno, però, si aspettava la piega che ha preso la discussione del regolamento. «Che ci fosse l’esigenza di rivedere il regolamento di residenza già si sapeva sotto la mia presidenza», afferma Pignataro. «A novembre avevo presentato una bozza al comitato, per discuterne anche con i rappresentanti degli studenti, che però non conteneva quelle innovazioni. Le ho apprese solo al momento della lettura dell’ordine del giorno del CdA. Indubbiamente questo regolamento incide su uno degli aspetti essenziali, quindi è chiaro che quel progetto verrà cambiato nella sostanza da queste innovazioni».

Gli studenti hanno fatto fronte comune fin da subito. «Con il Presidente Angelo Vanella (ex preside della facoltà di Farmacia, ndr) abbiamo avuto più incontri, nessuno dei quali ha sortito qualche effetto nel riconsiderare le scelte operate, imputabili, comunque, agli organi decisionali dell’Università», afferma Motta che aggiunge «Il ruolo e le funzioni che competono al presidente della Scuola, oggi struttura didattica speciale dell’Ateneo, si sono notevolmente ridimensionati rispetto a prima, quando la Scuola era gestita da un Consorzio e godeva di una certa autonomia».

Quali siano gli ulteriori pericoli che si potrebbero incontrare li descrive ancora il prof. Pignataro: «Il rischio è che, se sbrindelliamo il progetto iniziale, ne resti ben poco senza che sia sostituito da un altro dello stesso livello. Continuo a credere che la Scuola sia un valore aggiunto per l’Ateneo, quindi è necessario che se ne discuta».

Per gli allievi i cambiamenti apportati nel regolamento svuotano la Scuola della sua sostanza, facendo in modo che essa cessi di essere una valida alternativa alle altre Scuole di eccellenza. «La SSC era un tentativo di Catania e della Sicilia di puntare verso l’eccellenza in campo accademico, l’unica cosa che ci permette di distinguerci dalla concorrenza internazionale, fondamentale per uno sviluppo economico. In questo momento, la Scuola viene svuotata della sua sostanza, mantenendone solo il nome. Alle nuove condizioni non credo che qualcuno potrà sceglierla preferendola alla Normale di Pisa», ci dice Paolo Giarrusso, 25 anni ed ex allievo della Scuola, adesso dottorando in Germania. Paolo, nel 2004, ha scelto la SSC rinunciando proprio alla Normale di Pisa «per un modello di crescita più completo e per una scommessa sulla mia terra».

«Rispetto alla Normale di Pisa – ci spiega Paolo – la Scuola Superiore ha sempre accompagnato l’eccellenza accademica all’attenzione alla persona dell’allievo, per una sua crescita a 360 gradi: non si può essere studenti eccellenti senza essere persone».

Ma soprattutto – ci tiene a sottolinearlo – Paolo era un catanese che non voleva abbandonare la sua terra e che scommetteva sulla sua crescita: «La SSC era ovviamente una neonata rispetto alla Normale, una neonata che toccava anche a noi allievi fare crescere. Oggi è assai chiaro che nel 2004 Catania, sebbene ancora viva, aveva iniziato a percorrere una parabola discendente. Quello che era stato costruito è stato poi lentamente distrutto, come notoriamente mostrato nella famosa inchiesta I Vicerè di Report. La SSC, tra mille difficoltà, resisteva ancora. Oggi, uccidendo la Scuola Superiore, si uccide ancora una volta Catania».


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