Il Governo ha vergognosamente taciuto sullanniversario. Noi vogliamo ricordare il massacro in Iraq, che ha arrecato dolore a famiglie che hanno sintetizzato l'unità della Penisola, attraverso un documento di tre anni fa Nassirya: la dolorosa alba di tre anni dopo di Gianluca Nicotra
Il giorno della memoria: la strage degli innocenti
Mercoledì 12 Novembre 2003 – Dopo la solita giornata lavorativa, i tre commercianti si riuniscono per il pranzo: riso con asparagi, pollo al forno, contorno d’insalata e nel sottofondo la voce smorzata di un telecronista. La tv ritualmente accesa durante i pasti desta l’attenzione della famiglia riunita al convivio. Un brivido assale Pina. L’ennesima strage. Più tremenda, perché questa volta la vita è stata rubata a valorosi uomini che combattevano per la pace, o forse per un senso patriottico dato che le vittime erano nostri connazionali. Le lacrime iniziano a inondare il volto di Cettina, il cui primo pensiero è rivolto ad un cugino, partito qualche mese prima alla volta di Nassiriyah.
Giuseppe Messina, 29 anni, aveva lasciato la calorosa Sicilia nel pieno di un’estate afosa per andare a compiere il suo dovere da Carabiniere, con la comprensibile inquietudine di una persona che volontariamente decide di barcamenarsi in un’impresa di vita ma anche con la soddisfazione della nobiltà del suo gesto. Un kamikaze della pace. Durante l’unica telefonata settimanale che riusciva a rivolgere ai familiari, li rassicurava raccontando loro di come le persone li avessero accolti bene, addirittura sua sorella Rosita ci narra che i bambini amavano dormire con loro; ad eccezione delle condizioni climatiche quasi invivibili, nei limiti del possibile, sembra ripetersi la “favoletta” delle truppe italiane benvolute all’estero, perché protette dalla loro stessa generosità, dal loro saper comprendere e fare il possibile per aiutare la gente del luogo. Insomma la coltre di guerra non aveva ancora coperto questa città
fino a questo funesto giorno: alle 8.40 ora italiana due camion carichi di esplosivo guidati da terroristi suicidi sfondano il checkpoint, provocando la deflagrazione del comando militare italiano. Si tratta dell’ultimo, o forse purtroppo è il caso di dire del più recente, attentato compiuto in Iraq, in una città a Sud-Est di Baghdad, non ancora segnalata tra le zone a rischio. 2 civili e 17 uomini appartenenti alle Forze armate dei Carabinieri e dell’Esercito Italiano, impegnati in prima linea nella rischiosa campagna per la sicurezza iraquena e mondiale allo stesso tempo, perdono la vita sotto le macerie del Quartier Generale. Si sentono riecheggiare le minacce del Nemico dell’Umanità, che aveva da poco indicato l’Italia tra i suoi futuri obiettivi. Si cerca un barlume di conforto nel telegramma di cordoglio di Papa Giovanni Paolo, che rivolge parole di condanna per gli efferati gesti compiuti, ma anche di orgoglio per quelle povere anime che hanno lasciato questa terra mostrando generosa magnanimità. Tuttavia un clima di costernazione aleggia nella nostra nazione e lo sconcerto regna nel resto del mondo.
Il massacro in Iraq, una ferita riaperta, ha portato lutto e dolore all’interno di famiglie che sintetizzano l’unità della Penisola e in particolar modo il conforto nei confronti della nostra regione, che ha pagato il maggior tributo di sangue. Arduo è stato il compito di chi fungeva da tramite fra genitori, mogli e figli sventrati dalla disperazione e quel che restava delle spoglie di quegli intrepidi Eroi; la dott.ssa Antonella Nicolosi, medico legale presso l’Istituto La Sapienza di Roma, è stata chiamata a svolgere tale funzione: “L’esperienza che abbiamo vissuto è stata difficile da metabolizzare; pur non essendo la prima, questa volta ha impresso in me un ricordo indelebile. Ritrovandoci davanti le bare dei caduti, siamo stati assediati da una sensazione di desolazione per la loro tragica fine e per l’impossibilità di difendersi o ribellarsi contro dei criminali che sono riusciti a piegare persino il Destino. In collaborazione con i genetisti è stato eseguito l’esame del DNA per la conferma del riconoscimento; spesso i corpi ,o quel che di essi rimaneva, erano identificabili attraverso tale prova, ma ai parenti non era permesso vederli perchè troppo malridotti. In seguito questi ricevevano sostegno psicologico. Io personalmente riflettendo su ciò che potevo dire ai familiari, mi rendevo conto che in momenti del genere non si può pretendere di consolare qualcuno con le espressioni rituali La capisco o Mi dispiace perché ogni parola appare superflua o sbagliata; ma infine ho consigliato di evitare di concentrare lo sguardo sulle ferite, cercando invece di ripensare ai sorrisi, alle voci e agli odori del caro estinto, alla sua essenza perché di sicuro queste sarebbero state le sue volontà. Non so quali siano le formule più giuste, ma queste parole sono state utili a rasserenare lievemente quelle povere anime in pena, suggerendo un pallido sorriso sui loro volti straziati”.
Il filo già esile del lento ritorno alla normalità nel periodo del dopoguerra iracheno è stato spezzato con questo inaspettato attacco. Tutto vuole narrare che molto è definitivamente cambiato. E lo racconta pure Giuseppe, che veterano nelle missioni di pace, dopo le tre spedizioni in Bosnia, si recava nei territori di guerra per fornire insieme ai suoi colleghi sicurezza, ma che due settimane prima della strage concludeva i suoi 4 mesi, rientrando fatalmente nella sua terra, ma lasciando molti amici che andavano incontro a una sorte più meschina. Sono stati definiti eroi della pace; purtroppo in Iraq anche la pace si rivela una guerra feroce. Non ci resta che confidare nelle parole cantate dal poeta ecuadoriano Jorge Carrera Andrade aspettando il giorno più puro degli altri, in cui la pace scoppierà sulla Terra come un sole di cristallo