Ci vuole una buona dose di fantasia per rintracciare, tra le pieghe di questo 2014 che sta per andare via, qualcosa di positivo nella vita politica siciliana. Purtroppo è stato un anno negativo, sotto tutti i punti di vista. In parte ha influito il contesto economico internazionale e nazionale. E, in parte, a peggiorare il resto hanno pensato i politici dell’Isola, con in testa il governo della Regione.
Forse l’evento politico più importante si è consumato la scorsa estate, quando il governatore Rosario Crocetta ha firmato, a Roma, un accordo con il governo nazionale in base al quale la Regione rinuncia, per i prossimi quattro anni, agli effetti positivi dei contenziosi finanziari con lo Stato. Questo accordo, che l’ex assessore regionale Franco Piro ha definito «sciagurato», ha impedito l’applicazione di una sentenza della Corte Costituzionale, sempre di quest’anno, che avrebbe consentito alla Sicilia di territorializzare le imposte.
Grazie a questo pronunciamento della Consulta, la Regione avrebbe introitato circa 10 miliardi di euro, assumendo, contestualmente, le competenze amministrative e finanziarie che ancora oggi lo Stato esercita in Sicilia: scuola, università, i 2,2 miliardi di euro circa che Roma versa per la sanità e altre piccole cose. La Regione ci avrebbe guadagnato un po’ di quattrini e, in prospettiva, con un’operazione finanziaria da giocare con queste nuove entrate, avrebbe potuto azzerare il deficit. Invece se ne parlerà tra quattro anni.
Un altro elemento che ha accompagnato tutto il 2014 è stata la crisi della Formazione professionale siciliana. In questo caso la responsabilità è del governo. I fondi per pagare questo settore non sono regionali. Sono risorse del Fondo sociale europeo (Fse) confluiti attraverso un magheggio amministrativo e finanziario nel Piano Giovani, altro flop di dimensioni gigantesche.
Non pagare gli arretrati ai circa 8mila lavoratori di questo settore – o pagarli solo in minima parte e solo negli ultimi mesi dell’anno – è stata una scelta del governo regionale che, ad inizio di quest’anno, ha incasinato gli uffici del dipartimento della Formazione per ritardare le rendicontazioni. Non c’è niente di male ad ammetterlo: il governo regionale ha sempre avuto come obiettivo quello di sbarazzarsi di questo personale.
L’anno che sta andando via, con molta probabilità, verrà ricordato anche come l’anno del Muos di Niscemi. C’è stato il tentativo generoso di opporsi al mega radar satellitare che i militari americani hanno piazzato nel cuore della Sicilia. Ma un vasto schieramento di silenzio e di disinformazione ha piegato il movimento No Muos. La sinistra italiana è ormai in maggioranza filoamericana. Piaccia o no, ma il Pd resta la maggiore forza di centrosinistra del Paese. Un Pd che non si è opposto alla militarizzazione della Sicilia. Pio La Torre al massimo si commemora, tenendo a distanza il suo ricordo dal presente. Rifondazione comunista e Sel non muovono le piazze. E nemmeno i grillini, benché contrari al Muos, hanno cambiato il corso degli eventi.
Il 2014 è stato anche l’anno della riforma – mancata – delle Province siciliane. L’Ars ha abolito i presidenti e i consigli provinciali. E ha istituito in modo improprio i Consorzi di Comuni e le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Sala d’Ercole avrebbe dovuto completare la riforma assegnando le competenze ai nuovi soggetti. Ma è fallito tutto. Motivo: la mezza riforma approvata è un disastro.
L’articolo 15 dello Statuto non parla di abolizione degli organismi intermedi tra Regione e Comuni: parla di «Liberi Consorzi di Comuni». Ma i Consorzi di Comuni istituiti con la legge lasciata a metà sono tutto, fuorché liberi di autodeterminarsi. Mentre le città metropolitane sono state solo un tentativo, non riuscito, di far sparire oltre 50 Comuni per provare a risanare i buchi di Bilancio dei Comuni di Palermo, Catania e Messina. Operazione politica fallita su tutta la linea.
Sta andando via anche l’anno nero per i Comuni siciliani. I dati ufficiali, in evoluzione, parlano di una cinquantina di Comuni in gravi difficoltà finanziarie, alcuni tra il dissesto e il pre-dissesto. In realtà, lo scenario è più grave, perché molti Comuni, quest’anno, si sono indebitati per pagare il personale precario. La situazione è in netto peggioramento, anche perché nel progetto di bilancio regionale 2015 i trasferimenti della Regione ai Comuni passano da 350 milioni di euro ai 150 milioni di euro, con un taglio di 200 milioni di euro.
Quello che sta finendo passerà alla storia come l’anno dei petrolieri che invadono il Canale di Sicilia. Sono arrivati grazie al solito governo Renzi che ha ignorato le Regioni e i Comuni, contrari alla proliferazione di piattaforme petrolifere nel Mediterraneo.
Il 2014 verrà ricordato, poi, come l’anno in cui il governo Renzi ha scippato alla Sicilia un miliardo e 200 milioni di euro di fondi Pac, sigla che sta per Piano di azione e coesione. Fondi europei e nazionali non spesi e riprogrammati dall’ex ministro Fabrizio Barca. Soldi che il governo nazionale ha tolto al Sud (3,5 miliardi di euro per le Regioni del Mezzogiorno ad Obiettivo convergenza) per regalare sgravi fiscali alle imprese, in maggioranza del Centro Nord Italia. Si pensava che la Sicilia dovesse perdere 600 milioni di euro. Ma domenica scorsa, il sottosegretario Delrio, in un’intervista al Mattino di Napoli, ha quantificato lo scippo ai danni della Sicilia in un miliardo e 200 milioni di euro.
La Regione siciliana, insomma, chiude l’anno con un buco di cassa di oltre 5 miliardi di euro e un buco di competenza di oltre 2 miliardi di euro. Deficit provocato, in larga parte, dai soldi che Roma ha tolto alla Sicilia.
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