Nei giorni scorsi si sono riuniti a Catania, provenienti da diverse regioni d'Italia. Sono i partecipanti a Classe democratica e solitamente si incontrano a Roma. I loro docenti sono ministri, imprenditori, esperti. Perché hanno scelto il Partito democratico e cosa si aspettano entrando in politica? Lo abbiamo chiesto a loro
I trecento giovani alla scuola di formazione del Pd «Politica non è in Rete. Costituzione? Non è sacra»
Alla festa de L’Unità, appena conclusa a Catania, hanno partecipato a dibattiti e tavole rotonde. Sono circa trecento giovani provenienti da ogni regione d’Italia e si sono ritrovati tutti alla villa Bellini per l’appuntamento con Classe Democratica, la scuola di formazione del Pd, coordinata dal deputato Andrea De Maria.
Chi sono i futuri politici del Partito democratico e perché hanno scelto di intraprendere questa strada? «La politica non si fa in rete – risponde Chiara, di Torino -. C’è bisogno di conoscersi, di scambiare idee ed esperienze. Di incontrare ragazzi impegnati in politica come noi, ma che provengono da realtà territoriali e sociali diverse». Sono più di trecento under 35, rigorosamente divisi al cinquanta per cento tra donne e uomini. Periodicamente si incontrano a Roma per approfondire temi di politica nazionale ed estera e, in quelle occasioni, a vestire i panni dei docenti sono ministri, parlamentari, imprenditori, esperti e studiosi (tra i nomi di quest’anno Walter Veltroni, Gianni Cuperlo, Pier Carlo Padoan e Livia Turco).
La parola partito li rassicura. Vengono da piccoli centri e sostengono che «la politica può ancora essere motivo di aggregazione e confronto. Uno spazio – dice Beatrice, di Firenze – in cui dalle esperienze di ciascuno si possono trovare risposte se il mondo va troppo veloce e non abbiamo gli strumenti per interpretare i cambiamenti». Studiano e sono quasi tutti impegnati in ruoli di amministrazione locale. Al Pd chiedono una maggiore presenza del partito sul territorio. «Io sono toscano – racconta Carlo, di Arezzo -, e nella mia regione, così come in Emilia Romagna, il partito è molto presente, ma non quanto una volta. È possibile che questa sia una delle cause dei sentimenti di antipolitica che hanno preso forza negli ultimi anni. Ma questo non vuol dire – sottolinea – che non dobbiamo essere presenti nelle televisioni o sulla scena nazionale, anzi. Da quando Matteo Renzi è il segretario del Pd abbiamo recuperato il valore della comunicazione. Le due cose dovrebbero andare insieme».
Perché stare in questo Pd? «Io ho valori di sinistra e li riconosco nel partito – risponde Chiara -. Le correnti potrebbero distruggerci. Nel Pd c’è spazio per ogni idea e per i temi importanti, come quello della riforma costituzionale, c’è una linea condivisa che è quella del Sì, ma non c’è mai stata un’imposizione di voto. Accetto – continua la ragazza – le posizioni di chi la pensa diversamente, ma quello che non condivido è l’organizzazione di un fronte di opposizione interna».
I ragazzi sono stati selezionati attraverso le federazioni provinciali, mentre una quota è stata riservata alle autocandidature e alla selezione su curriculum (le richieste sono state oltre mille). I politici che vedono come riferimento sono Renzi e Maria Elena Boschi, ma anche «gli assessori regionali che lavorano ogni giorno per la comunità, non necessariamente grandi nomi», aggiunge Carlo.
Adesso sono tutti impegnati attivamente per le ragioni del Sì al referendum costituzionale e sulla Costituzione hanno idee precise. «Il nostro testo fondamentale è certamente la base dei nostri valori e della nostra democrazia. Ma non può essere considerato un vessillo sacro – afferma Michele, di Bologna -. I diritti fondamentali non sono e non saranno mai in discussione. Ma se si interviene sul modello di procedura di decisione legislativa e si abbattono i tempi normativi in un Paese che ha bisogno come non mai di riforme, cosa c’è di terrificante?»
Per loro un partito che vuole governare ha bisogno di una formazione al suo interno. «Gli altri partiti non pensano a formare la loro classe dirigente. Ma è un errore – sostiene Ettore, di Palermo – e il Movimento Cinque stelle ne sta pagando le conseguenze. Puoi trovare chi prende voti, ma se poi non sa lavorare non hai concluso nulla».